LazioPress.it
·14 de mayo de 2025
Le parole dei protagonisti dello scudetto della Lazio del 2000

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·14 de mayo de 2025
Oggi sono 25 anni dallo scudetto del 2000 della Lazio. Un tricolore che rimarrà nella storia del calcio italiano per tantissimi motivi. In questi ultimissimi giorni tanti protagonisti sono tornati su quel giorno narrando aneddoti ed emozioni che hanno contraddistinto quell'impresa.
La ciliegina è stata sicuramente l'incontro tra l'ex presidente Sergio Cragnotti, colui che ha reso grande il club portandolo sul tetto d'Europa e Claudio Lotito, attuale patron dei biancocelesti.
Il popolo laziale si è riunito per questo emozionante anniversario, nel ricordo di un tricolore unico, forse il più inaspettato della storia del calcio italiano. Tanti giocatori hanno parlato nelle radio romane per ricordare quanto accaduto.
Il mio primo pensiero ripensando a quel giorno sono tutti i miei compagni di squadra. Spero di rivederli tutti il prima possibile, so che non sarà facile ma me lo auguro. Siamo riusciti a vincerlo in un modo in cui non avrei mai pensato. La speranza c'era, ma vincerlo in quel modo è stato incredibile. Tecnicamente c'era un grandissimo valore in campo, poi mentalmente c'era una forza incredibile. C'erano diversi giocatori di diversi paese che in campo davano l'anima.Fuori dal campo avevo un bellissimo rapporto con tutti, anche perché io ero uno di quelli più dotati con le lingue. Dentro dal campo, invece, per me era molto semplice. Appena avevo un'opportunità di giocare mi buttavo dentro. Per quanto riguarda l'affetto dei tifosi, mi dava certamente una carica in più. Non me lo sarei mai aspettato, ancora oggi mi emoziona. Mi vergognavo anche un po' (ride, ndr).Di quell'epoca mi piacerebbe rigiocare la gara di Champions con il Valencia. Quell'eliminazione fu un gran peccato davvero.Eriksson è stato importantissimo per tutti. Sempre un signori, una persona eccezionale che mi resterà sempre nel cuore. Come tecnico che dire, solo lui poteva creare tutto quello.
La stagione ci cambia completamente con il gol di Simeone a Torino su assist di Veron. Siamo diventati così una squadra che ha cominciato a crederci veramente. Quella cavalcata nasce lì, ma va sottolineato come quella squadra poteva ambire praticamente a qualsiasi cosa, niente le era preluso in partenza. Il gol annullato a Cannavaro? Anche noi avevamo assorbito la rabbia dei tifosi, ma ci ha anche fortificato. Eravamo contro tutto e contro tutti a quel punto. Noi sapevamo che tanto dipendeva di noi, eravamo consci dei nostri grandi mezzi”.“L’ultima giornata di campionato contro la Reggina, il nostro pensiero fisso avvicinandoci allo stadio era arrivare in qualche modo allo spareggio con la Juventus. Non ci aspettavamo minimamente quell’epilogo, nessuno se lo aspettava e non c’era niente di preparato allo stadio. Una giornata che ci ha cambiato la vita, letteralmente. Dopo il fischio finale all’Olimpico - prosegue Marcolin - noi eravamo tutti nello spogliatoio. Nessuno voleva sentire nulla, neanche la radio. Avevamo paura che ascoltando avremmo portato in qualche modo fortuna alla Juventus. Mi ricordo la scena: tutta la squadra seduta, muta, nessuno voleva sapere assolutamente nulla. Ogni tanto entrava qualcuno e tutti si aspettavano che avrebbe portato un cambio di risultato. Pensavamo “vedrai che adesso pareggiano, adesso pareggiano…”. Fu una liberazione: qualcuno da un calcio alla porta e urla “è finita!”. Avevamo paura della delusione, per noi e per i tifosi. Era un gruppo unito in un silenzio di tomba, in quei secondi finali. Nessuno si azzardava a muovere un muscolo. Attimi di speranza e di tensione”.“Se dovessi raccontare quella Lazio ad un ragazzo di vent’anni? Gli parlerei della testa di questi giocatori, della mentalità. Nesta e Mihajlovic si compensavano; a centrocampo avevamo malizia e cattiveria, oltre alla tecnica debordante di Veron che spesso iniziava terminava l’azione. Esterni bravi nell’uno contro uno, la classe di Mancini e attaccanti che ruotavano sistematicamente. Eriksson era il collante, riusciva ad ottenere da tutti qualcosa. Era un innovativo, un moderno. Era uno di noi, uno del gruppo”.