Bologna, Italiano: “Il gruppo rema dalla stessa parte. Maestri? Prandelli e Malesani” | OneFootball

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·22 Maret 2025

Bologna, Italiano: “Il gruppo rema dalla stessa parte. Maestri? Prandelli e Malesani”

Gambar artikel:Bologna, Italiano: “Il gruppo rema dalla stessa parte. Maestri? Prandelli e Malesani”

L’allenatore del Bologna, Vincenzo Italiano, si è aperto ai taccuini della Gazzetta dello Sport, concedendo una lunga intervista che riprende i momenti salienti della sua carriera.

Bologna sogna. Non potrebbe essere altrimenti: il lavoro di Vincenzo Italiano andrebbe studiato. Perché, con tante attese ma altrettanto scetticismo, ha consolidato i rossoblù ai vertici della Serie A. Decisamente pochi avrebbero potuto solo immaginarlo, dopo gli smottamenti estivi adoperati dal ds Sartori. Un visionario. Nei pressi del Dall’Ara si lavora bene e si producono risultati: non scontato, nel calcio di oggi che corre forte senza guardare in faccia nessuno. Anche il Bologna, però, corre forte. Nel segno delle idee, del coraggio e della leadership del suo grande condottiero.


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Bologna, le parole di Italiano

“È stata la sintesi di un gruppo che rema tutto dalla stessa parte. Che è tutto coinvolto, in un’azione portata avanti da tre giocatori nuovi su quattro. Di un gruppo che, chi gioca e chi no, è unito, ed è un segnale molto, molto bello per cercare in questo finale di stagione di avere molte più chance perché abbiamo una serie di partite una più tosta dell’altra, dal campionato alla semifinale di Coppa Italia”.

A giugno quanti le davano del “matto” davanti all’idea-Bologna?

“Tanti, perché negli anni situazioni come questa a Bologna spesso si sono verificate annate… insoddisfacenti. Tutti pensavano che sarebbe stata una ‘Missione Impossibile’: ecco, proprio questo c’era scritto sui messaggi che ricevevo. Questa era la panca più bollente dell’universo. Che cosa rispondevo? Dopo aver parlato con tutti i componenti della società mi sono tranquillizzato. Sapevo delle eventuali difficoltà, come è realmente successo, ma scortato da compagni di viaggio che potevano darmi una grossa mano per non fare troppi… danni”.

Quanto ha influito la Champions da giocare?

“50-60%. Cercare di mettermi alla prova, sfidare questa competizione dei dettagli, la più difficile”.

Scelga una vittoria: Dortmund o Lazio?

“Dortmund. Ho visto la gente gioire come se avessimo vinto la Champions. È arrivata dopo una rimonta, con un atteggiamento della squadra che voleva regalare a se stessa e alla gente la prima vittoria. Dico quella perché, nonostante fossimo stati eliminati, è come se avessimo alzato la Coppa, mancavano solo i caroselli per le strade”.

Italiano è riuscito a farsi amare più in sei mesi di Bologna che in 3 anni a Firenze. O no?

“Non lo so: i tre anni di Firenze sono un po’ macchiati da quelle finali, ma tanti sanno quali e quante cose sono passate in quel tragitto. Chiaro che perdendole qualcosa viene offuscato, ma sono stati tre anni fantastici. Chiaro che l’allenatore è giudicato dai risultati, ma quel che mi hanno chiesto ho dato, anzi forse di più. Per me il percorso conta tanto: qua sembra che sia più bravo chi esce agli ottavi e chi invece perde le finali è una capra. No no…”.

Tre finali perse (ma ci arrivano quelli bravi): il calcio le deve qualcosa?

“Penso di sì. Certamente meritavamo di alzarne anche solo una. Quanto penso a una finale in Coppa Italia? Ci penso. Intanto bisogna vincere la semifinale e non sarà semplice: l’Empoli ha battuto tutte squadre fuori casa; io non ho mai vinto là, nè in A nè in B. Sono 180’ e vanno giocati. Detto ciò, pensare di poter portare 30-35 mila bolognesi a Roma e al primo anno qui per me sarebbe un sogno che tutti abbiamo, un qualcosa di impagabile”.

Il Mitico Villa ha detto: Italiano piace perché è uno della gente e non è un fighetto.

“Io sono questo, me stesso. Ci sono momenti in cui sento di comportarmi come faccio in alcune vittorie, dipende dal mio stato d’animo”.

Calcio h24, ma il resto (famiglia a parte)?

“Appena stacchi un po’ la testa dall’obiettivo, nel calcio prendi le mazzate. Che io faccia una passeggiata, giochi a ping pong o ascolti musica, la testa dell’allenatore è sempre lì. Musica? Ascolto di tutto. E i ragazzi mi hanno cambiato. Mi hanno convertito con la musica nello spogliatoio. Prima per me non doveva volare mosca, poi qui ho scoperto il valore di vedere un gruppo che canta insieme. E allora, perché cambiare? Gruppo sano, coeso, con valori, che si aiuta e che si vuole bene. A volte è un modo di dire, ma qui è un modo di fare”.

De Silvestri ha detto: gruppo non permaloso.

“Mi sa che gliel’ho inculcato io. Il gruppo unito porta punti, permalosi e orgogliosi li tolgono”.

Da uno a dieci, quanto si aspettava di essere quarto?

“Ero convinto di continuare a lottare per qualcosa di importante, ma lì a 9 gare dalla fine, beh, a chiunque avrei dato io del matto”.

Adesso viene il difficile.

“Perché il calcio è come un albero di arance. Seminare è più semplice che raccogliere e la raccolta si traduce in obiettivi: Coppa Italia, semifinale e magari finale; e in campionato cercando di puntare al massimo. A seminare ci abbiamo messo un secondo, ma per vedere i frutti dipende dal clima, dall’acqua, dagli insetti, dal sole, dalle piogge. Ora la parola chiave sarà umiltà”.

Nel seminare qual è stata la cosa più difficile?

“Convincere un gruppo che al loro grande calcio si poteva mettere qualcosina in più. Essere credibili, portarli dalla tua parte: non è stato… subito”.

Ci racconti di Cruijff, degli elmetti e di Trapani.

“A Trapani sulla lavagna scrissi ‘Nessun limite, solo orizzonti’: quella lavagna venne portata allo stadio, la ritrovai dopo 9 mesi in sala stampa, era stata girata, guardo sul retro e rivedo la mia frase, firmato mister. È rimasta come frase simbolo. Gli elmetti? Nasce dal magazziniere dello Spezia, che quando c’erano delle gare che contavano tirava fuori l’elmetto e ogni volta che lo estraeva (‘Oggi c’è bisogno dell’elmetto’) si vinceva. Ce l’ha lui e forse lo fa ancora… Cruijff perché da quando ho iniziato a vedere immagini da giocatore e da allenatore, beh, un maestro. E quando venne a mancare nel mio stato whatsapp ho messo una sua foto per omaggiarlo”.

Il suo contratto scade nel 2026: rinnova?

“Con onestà devo dire che non si è ancora discusso di niente. Ma… c’è tutta la mia disponibilità”.

Il giocatore che le ha dato più soddisfazioni?

“Io devo parlare di crescita di squadra. Una crescita che porta Orsolini in doppia cifra per il terzo anno, Ndoye ha lavorato tutti i giorni per arrivare a fare 7 gol, ma anche i giovani: Castro, Dominguez, Fabbian, ragazzi con qualità e carattere. Crescere vuol dire essere stimati dal gruppo. Sono stati bravi loro: c’è il lavoro dell’allenatore, ma anche la loro disponibilità”.

I suoi maestri?

“Prandelli, il primo a fare il 4-2-3-1, e Malesani: visionari. Ma ci metto anche Cagni, che mi fece esordire in A: nella tattica individuale e nella crescita mi ha dato tanto”.

Che cosa pensa quando vede la gente felice?

“Lo dissi quando mi presentai: mi piacerebbe riportare la gente in piazza. E in piazza vuole dire fargli brillare gli occhi, renderla orgogliosa. Diciamo che in piazza ci siamo quasi, va aggiunta la ciliegina…”.

Il suo è calcio-rock: ci si ritrova?

“Calcio attivo, dinamico, andiamocela a prendere la palla: quando ce l’hai devi produrre e quando non la hai, beh, te la devi andare a conquistare, quindi sei sempre attivo. Lo zio Pietro mi ha chiamato da Ribera, casa mia nella quale ogni anno torno, da sempre: ‘Non ho mai visto le tue squadre giocare così’. Io gli rispondo che il Trapani andava fortissimo, ma dico che si può sempre migliorare”.

E Valentino Rossi che cosa le ha detto?

“Per me è stato come vedere Senna, Michael Jordan, Maradona. Miti. Mi ha fatto i complimenti per come stiamo rendendo orgogliosa una città. E allora continuiamo…”.

Se sarà Champions o Coppa, andrà a Ribera a piedi?

“Ma da qui è lunga eh… L’unico fioretto che ho fatto è stato a La Spezia, a piedi fino a Portovenere. Basta fioretti… Mio nonno lo fece, ma sotto la guerra per sfuggire ai tedeschi, Peschiera-Ribera: ci ha messo un mese…”

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