Cesena, Adamo si racconta: “Il calcio mi ha ridato vita, ma ho rischiato. Qui sono felice. Su De Zerbi…” | OneFootball

Cesena, Adamo si racconta: “Il calcio mi ha ridato vita, ma ho rischiato. Qui sono felice. Su De Zerbi…” | OneFootball

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·7 April 2025

Cesena, Adamo si racconta: “Il calcio mi ha ridato vita, ma ho rischiato. Qui sono felice. Su De Zerbi…”

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Il centrocampista del Cesena Emanuele Adamo, protagonista fin qui di un’ottima stagione, si è concesso ad una lunga intervista. Riprendiamo le sue parole da gianlucadimarzio.com:

Cesena – “La Romagna e il Cesena mi hanno adottato ho instaurato un rapporto importante con questa terra. Sto proprio bene. Riflettori? Vabbè, però il faretto lo accendiamo che qua si fa sempre più buio“.


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Famiglia – “Mio cugino, la sorella e suo cognato (li indica cfr.) sono figure fondamentali. Mi sono sempre stati vicini, soprattutto, nei momenti in cui mi perdevo. Vedi, io cerco di non mostrare mai le mie debolezze. Preferisco chiudermi in me stesso e soffrire da solo. La mia fortuna sono loro. Mi hanno aiutato: un ‘grazie’ non basterebbe“.

Emozioni – “Le emozioni che sto provando in questo momento sono quelle che ho sempre sognato sin da bambino. La Serie B è il palcoscenico in cui tutti i ragazzini come me, all’epoca, avrebbero voluto giocare. Ho fatto così tanti sacrifici per essere qui che Cesena, questa categoria, il ‘Manuzzi’ non posso considerarli un arrivo, ma un inizio”.

Calcio – “La mia vita è sempre stata il calcio. Anzi, il calcio mi ha ridato una vita. Sono cresciuto in un quartiere di Napoli inserito in un contesto difficile. Quartieri Spagnoli: lì serve imparare a sopravvivere il prima possibile. Io ci ho provato. Le mie vicissitudini familiari, i miei comportamenti e le necessità mi hanno costretto a crescere prima del tempo. Ho incontrato molti ostacoli. Ho avuto molti momenti di sconforto e crisi: sia familiare che personale. Sono sempre stato da solo, fin da piccolissimo. Mio padre era spesso fuori casa, mia madre doveva seguire anche le mie due sorelle facendo innumerevoli sacrifici. Perciò, io ho cercato sempre di arrangiarmi. Altrimenti…

Circostanze – “Ero un ragazzo debole, mi lasciavo trascinare da ciò che mi circondava. Non avevo gli elementi per comprendere. Ho rischiato. E una volta entrato in quel giro uscirne sarebbe stato impossibile. Vedi questo tatuaggio sul collo? Voglio che lo vedano tutti: c’è scritto ‘Warrior’. È il riassunto della mia vita. Ho lottato per scappare da quel contesto e allontanarmi per sempre. Io ce l’ho fatta. Tanti conoscenti e amici con cui giocavo per le strade dei Quartieri hanno preso quella strada. Altri non ci sono più. Se non avessi avuto la forza di volontà per mettermi in testa di fare qualcosa esclusivamente per me stesso non avrei avuto chance“.

Percorso – “Se tornassi indietro rifarei tutto. Il mio trascorso, l’infanzia in solitudine, i mei errori: se oggi sono questa persona e sto realizzando i miei sogni è solo per quello che ho vissuto. È cominciato tutto così. Passavo pomeriggi interi a giocare per strada, tra i vicoli dei Quartieri. Il pallone era la mia pace“.

Inizi – “Tra i ragazzi con cui giocavo c’era un certo Danilo. Continuava ad avvicinarsi a me a chiedermi cosa ci facessi per strada, perché non giocassi a calcio seriamente. Per lui ero il più forte. Finché, un giorno mi invitò a seguirlo. Accettai. Mi portò alla scuola calcio di Posillipo. Aveva ragione: da quel momento non mi sono più fermato. Posillipo è stata la prima squadra. Mi allenavo in un campo, affrontavo le prime partite, ma ero ancora debole, influenzabile: uscivo la sera, facevo qualsiasi ‘ragazzata’. Poi ho iniziato a convincermi che per avere un futuro diverso avrei dovuto lasciare Napoli”.

Foggia e De Zerbi – “A sedici anni mi sono trasferito a Foggia per giocare nella Primavera rossonera. All’inizio ho fatto fatica. Mi rinchiudevo in me stesso, passavo ore in camera da letto da solo a piangere. Soffrivo la lontananza da casa e dalla famiglia. Quei momenti mi sono serviti per capire che l’artefice del mio futuro potevo essere solo io. Qualsiasi sacrificio, ogni rinuncia: ho fatto sempre tutto da solo. Faccio solo un mese di Primavera e vengo aggregato alla prima squadra per espressa richiesta dell’allenatore: Roberto De Zerbi. De Zerbi non mi ha più lasciato. Mi teneva con lui tutta la settimana. Impose che non mi convocassero per le partite in Primavera perché la domenica mi voleva con la prima squadra. È stato fondamentale. Ero il suo ‘pupillo’. Era fortissimo già allora. Eravamo tutti sicuri che avrebbe fatto una carriera importante. Teneva moltissimo ai giovani. Ha sempre avuto un rapporto straordinario con tutti i giocatori. Riusciva a entrare nella testa del calciatore e a metterlo nelle condizioni di tirare fuori tutto quello che da solo non avrebbe mai espresso. Non è stato solo l’allenatore ad aiutarmi. In quel Foggia ero il più giovane, ma tutti i miei compagni sono riusciti a non farmelo pesare. Antonio Vacca, Iemmello, Sarno: per me erano tutti dei fratelli maggiori. Mi coinvolgevano, mi portavano a cena: qualsiasi cosa purché non mi isolassi, non mi perdessi nella nostalgia di casa e nelle mie insicurezze“.

Difficoltà – “Un giorno dopo una partita decido di non tornare più a Cerignola. Ci stavo ricascando. Era un periodo in cui non mi riconoscevo più. Avevo la testa altrove. Soffrivo a vedere i miei amici uscire la sera per andare divertirsi mentre io ero costretto a rinunciare. Ho deciso di smettere. Ho lasciato il calcio sicuro di non ricominciare. Un anno intero senza calcio finché ho ripreso a ripetermi che quella non era la vita che volevo: non era il mio posto. Lo facevo per forza. Non ero me stesso. Dopo quel periodo di stop non avrei mai pensato di tornare a giocare. Men che meno di esordire tra i professionisti in Serie C come accadde. Avevo scelto di mollare tutto, stavo per ricadere nel baratro, ma mi sono rialzato di nuovo. Me ne andai ancora da Napoli. Con l’intenzione di non tornarci”.

Padre e Serie B – “Al fischio finale della partita col Pescara che ci regalò la vittoria del campionato e il salto di categoria ho avuto un unico pensiero. Mio padre. Negli ultimi anni ha sofferto per problemi di salute e personali. Appena rientrato negli spogliatoi ho preso il telefono e l’ho chiamato. Non avevo mai visto mio padre piangere. Quella sera, nonostante fosse una videochiamata, sentivo le sue lacrime scorrermi addosso. Da quella sera abbiamo cominciato a sentirci tutti i giorni. A ragionare sul mio futuro. Giocherai la Serie B? Resti o vai? Bello”.

Conferma in Serie B“Il 5 luglio ci ritroviamo qui a Cesena per allenarci e prepararci per il ritiro di Acquapartita. Il giorno della partenza mio padre viene a mancare. L’unico rammarico che ho è che non ha potuto vedere l’esordio in Serie B. Gli parlo sempre. Lui e mio figlio sono i miei pensieri fissi. Spero solo che mi senta“.

Paternità – “Diventare padre non è facile, ma mi ha permesso di maturare tantissimo. La nascita di un figlio porta con sé molte e nuove responsabilità. Robi mi ha cambiato la vita: adesso qualsiasi scelta, gesto o comportamento è fatto pensando a luiHa appena compiuto due anni. Non credo abbia capito come funzioni il calcio, ma ci prova. Mi hanno mandato un video in cui, davanti alla Tv, indica il pallone e chiama papà. Poi prende la palla e inizia a calciare. Voglio portare Robi al ‘Manuzzi‘. Qualsiasi gol segnerò da qui in avanti sarà solo per mio padre e mio figlio“.

Musica“Anche, ma senza dimenticare il repertorio neomelodico napoletano. Cantare è una mia grande passione. In spogliatoio? Sempre! Le metto ad alto volume cosicché possano sentirle tutti i miei compagni. E quante me ne dicono! Tra chi mi sfotte, chi vorrebbe che spegnessi. Però ho anche degli alleati. I fisioterapisti mi portano addirittura le casse e mi incitano a mettere le canzoni“.

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