Calcionews24
·10 luglio 2023
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·10 luglio 2023
Oggi Mario Gomez compie 38 anni. É già da un po’ che non è più un calciatore e fa il direttore tecnico per la Red Bull, occupandosi di 3 club in diverse zone del mondo: Lipsia in Germania, New York negli Stati Uniti e Bragantino in Brasile. Coerentemente a una carriera che non è rimasta confinata in patria ma che ha avuto deviazioni brevi in Italia e in Turchia, alla fama globale che ha raggiunto in una carriera dagli oltre 300 gol con le maglie di club, al sangue andaluso che scorre nelle sue vene e al cognome spagnoleggiante.
Recentemente ha fatto parlare di sé in due occasioni che ci riguardano da vicino. La prima, in qualità di opinionista per Prime Video Deutschland quando si è esaltato assistendo dal vivo alla semifinale di ritorno di Champions League, che ha decretato la finalista italiana di Istanbul: «Datemi altre due ore di questo spettacolo. Non ho bisogno di un gin tonic, non ho bisogno di un cinema, non ho bisogno di niente. Serata fantastica, pazzesca; complimenti all’Inter, se lo merita». La seconda è la dichiarazione di pura riconoscenza che ha espresso nientemeno che Victor Osimhen, che lo ha incrociato in Germania, un incontro fondamentale per il suo futuro: «Penso spesso a Gomez. A Wolfsburg non è stato semplice, non solo per il clima. Era la prima esperienza lontano da casa, praticamente in un altro mondo. Mario era l’unico che dopo ogni allenamento si fermava con me per darmi suggerimenti, a dirmi gli errori da non fare. Mi ha dato fiducia, un grande campione che si dedicava a dare dei suggerimenti. Pensavo tra me e me: se un campione come lui perde tempo con me, vuol dire che ci vede un potenziale. I suoi insegnamenti mi hanno aiutato a dare una svolta alla mia carriera».Giusto dieci anni fa, Firenze stava vivendo nella fibrillazione. Perché chi vi arrivava a giocare era il bomber del Bayern, capace in quell’anno di vincere campionato, coppa nazionale e Champions League. E siccome Mario era nel pieno della sua attività agonistica, ogni sogno era più che giustificato. Con tanto di accoglienza da star, 25.000 tifosi per vederlo da vicino e Vincenzo Montella più che soddisfatto per avere visto la sua richiesta – «fatta già a febbraio» – esaudita con una prova di forza sulla concorrenza (si era inserito anche il Napoli in quei giorni). Gomez arrivava persino con la benedizione di Pep Guardiola, appena approdato sulla panchina del Bayern e più che convinto che il bomber in Italia avrebbe fatto bene e non solo, poteva anche vincere qualcosa d’importante.
Purtroppo, l’entusiasmo viola scemò in fretta. Colpa di un assortimento di sfighe: prima una lesione parziale al legamento del ginocchio, poi un’infiammazione al tendine della zampa d’oca quando sembrava pronto il suo rientro.
Solo 4 gol alla prima stagione ed anche la seconda lo vede in crisi, sembra un declino irreversibile, la figura del classico campione – che lo sua è fuor di dubbio – che il meglio lo ha già dato e solo scampoli della passata gloria sono concessi al presente.
La beffa è che, quando lascia l’Italia – con un totale di 14 reti in viola -, Gomez riacquista i pieni poteri e torna il SuperMario che si conosceva prima. Vero, il livello del contesto si è abbassato, ma in Turchia si vince il campionato con il Besiktas e conquista il titolo di capocannoniere con 26 gol in 33 gare (un po’ la stessa cura che, in quest’ultima annata, ha deciso di seguire Mauro Icardi, uscendone totalmente guarito col Galatasaray).
Un percorso così netto che lo porta a partecipare all’Europeo con la nazionale, dove abbiamo modo d’incrociarlo nei quarti quando ai rigori facciamo un po’ gli sbruffoni e veniamo eliminati. Per poi ritrovarlo ancora nel suo Paese, per l’appunto con un ragazzo nigeriano che oggi pensa spesso a quel compagno così generoso nel proporsi come insegnante.