Chevanton: «Dal Lecce alla vita in campagna con gli animali. Sono uscito dal buio dopo il ritiro, ho pensato anche al suicidio. Oggi mi alleno più di quando giocavo…» | OneFootball

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Calcionews24

·27 dicembre 2024

Chevanton: «Dal Lecce alla vita in campagna con gli animali. Sono uscito dal buio dopo il ritiro, ho pensato anche al suicidio. Oggi mi alleno più di quando giocavo…»

Immagine dell'articolo:Chevanton: «Dal Lecce alla vita in campagna con gli animali. Sono uscito dal buio dopo il ritiro, ho pensato anche al suicidio. Oggi mi alleno più di quando giocavo…»

Le parole di Ernesto Chevanton, ex attaccante uruguaiano del Lecce, sulla sua vita dopo il ritiro dal calcio giocato. Tutti i dettagli

A Lecce il nome del gol è stato lui, Ernesto Chevanton, detto “Cheva”. A 44 anni l’uruguaiano è lontano dal calcio e ha raccontato a La Gazzetta dello Sport le sue difficoltà dopo il ritiro.

LA SUA GIORNATA TIPO«Da quando ho finito il lavoro da vice c.t. a Malta ho più tempo libero. Vado nella mia tenuta la mattina presto e faccio lavoretti da subito: ora sto costruendo una voliera di 11 metri. Poi do da mangiare agli animali, curo l’orto. A volte, vado via la sera senza neanche pranzare. Oltre alla campagna, c’è la palestra, almeno tre volte a settimana. Ora faccio kickboxing, mi alleno più adesso che prima…».GLI ANIMALI«Fagiani, oche, galline e tanto altro. Un gallo lo chiamavo “Belotti”, è stato mangiato da una volpe. Adesso mi sto occupando delle capre nel periodo dell’accoppiamento: ho finito un recinto per proteggere le femmine con i loro cuccioli. Se lascio liberi i due maschi, Tyson e Messi, sono guai».SOLITUDINE«Sono un solitario, questo non mi fa paura. Anzi, proprio nella tranquillità della campagna ho ritrovato completamente me stesso. Ho tanti amici, comunque: non esco mai la sera con loro, però preparo grandi grigliate qua. E sento l’amore di tutti i salentini: hanno capito la persona che sono, perché il calciatore passa, ma l’essere umano resta».RABBIA«Dopo la morte di mio padre ho capito che la vita è un attimo e non serve arrabbiarsi. Un tempo, in certe giornate no, andavo al supermercato solo per litigare, adesso cerco di pensare prima: non voglio problemi, evito la collera. Resto sanguigno, è la mia natura, ma non farei mai a botte. Questa serenità nasce dal non dover dar conto a nessuno: faccio ciò che mi va, che sia stare nell’orto o andare in palestra».IL BUIO«Sei mesi dopo aver smesso di giocare, torno a casa e poi… il buio. Piangevo senza sapere perché, volevo solo dormire. Se andavo fuori, sentivo una fitta al petto. Facevo due gradini e dovevo tornare dentro. Le pillole, poi, finivano solo per stordirmi. Nessuno può capire la depressione se non l’ha conosciuta. Avevo bisogno di affetto e chi mi stava vicino non me l’ha dato. Finché una sera sono stato a un passo dal farla finita, per fortuna non è successo».

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