PianetaSerieB
·15 novembre 2024
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·15 novembre 2024
Vivere inseguendo un sogno, destinare le proprie energie fisiche e nervose alla sua realizzazione, partire senza avere una meta definita, guardando solo l’orizzonte e correndo per raggiungerlo, consapevole che il fine è nel percorso e non nell’esito, nella nobiltà dei mezzi utilizzati, direbbe l’iconico Marcelo Bielsa. La storia di Emanuele Adamo ricalca senza alcuna stortura quest’introduzione: corsa, sacrifici, dedizione, mezzi qualitativi e ambizione mescolata al desiderio. Colonna del sorprendente Cesena di Michele Mignani, l’esterno destro è intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni.
È inevitabile tracciare un primo bilancio dell’ottima stagione che state vivendo, dove le soddisfazioni finora raccolte non hanno generato il rumore della sorpresa ma confermato la consapevolezza dell’ottimo progetto partito nella scorsa stagione.
“Siamo una squadra molto umile, forte di un blocco di calciatori rimasti dopo la cavalcata della scorsa stagione. Stiamo facendo il nostro campionato, la Serie B può e sa riservare scherzi, dunque dobbiamo stare sul pezzo e mettere punti in cascina. È questo ciò che ci siamo detti. Ogni partita, per noi, è una battaglia”.
Atteggiamento, quello che hai menzionato, che indubbiamente deriva anche da mister Mignani. Che allenatore è?
“Sono una persona che riesce ad approcciare con tutti, al di là del calcio. Il mister è disponibile, fa lavorare con tranquillità e sa farsi capire in maniera serena. Non mette pressione, aiuta tanto, vede le qualità e cerca di trasmettere le sue idee per valorizzare i calciatori. È un uomo, tra l’altro, davvero semplice”.
Le tue prestazioni, sin dall’anno scorso, sono state costantemente positive, e non è una questione di voti, gol e/o assist ma di tutto ciò che metti dentro la partita: corsa, intensità, timing sempre corretto, le scelte costantemente giuste. Sei il terzo giocatore del Cesena per tiri in porta e il sesto per contrasti vinti, dati che certificano una partecipazione totale.
“Vengo dalla strada, e questo oggi mi porta a essere un calciatore che quando va in campo non porta pensieri né pressioni con sé, proprio quando si gioca per le vie del quartiere. Mi concentro durante i novanta minuti, Cesena sotto quest’aspetto mi ha fatto crescere: giocavo nel Monterosi, ho firmato con questo club e, al momento dell’ufficialità, mi sono detto di dovermi comportare come un giocatore di un certo tipo, con la giusta mentalità e la cultura del lavoro da onorare sempre al massimo. Sono in Serie B, per me non è un punto d’arrivo ma di partenza, voglio arrivare più in alto. Desidero creare una carriera con vette ancora più importanti, dunque il lavoro è fondamentale. Do e darò tutto me stesso quando entro in campo”.
Analizziamo ulteriormente il tuo calcio: si parlava, appunto, delle scelte giuste che dimostri a ogni partita di saper fare. Quanto ha inciso, in questa qualità, il fatto di aver giocato praticamente ovunque? Ad Avellino con Braglia, ad esempio, sei passato dal fare la mezzala a occupare qualsiasi posizione su entrambe le fasce, stesso dicasi per Monterosi.
“Con Braglia mi sono trovato molto bene, ho imparato a ricoprire più ruoli, dalla mezzala, che facevo spesso, alla seconda punta. A Monterosi ero un jolly: giocavo esterno e mezzala sia a destra che a sinistra, ma anche prima e seconda punta. Questo, negli anni, mi ha aiutato tanto, perché ci sono stati allenatori che mi davano grande libertà, consapevoli del fatto che potessi fare più cose. Questo mi faceva avvertire fiducia e sicurezza. La duttilità mi è rimasta: rientro dentro il campo, invado lo spazio, mi inserisco alle spalle dei difensori. È il mio modo di giocare, ma oggi mi sento un quinto. Nasco esterno d’attacco, ruolo che ricoprivo in Serie D, ma tra i professionisti poi ho avuto quest’evoluzione che mi ha portato a sentirmi, come dicevo poc’anzi, un quinto”.
Non ti chiedo l’obiettivo stagionale, ma quanto ancora può incantare questo Cesena?
“Non parlo di obiettivi, ma siamo una squadra fastidiosa. Ci sono tanti giovani, giochiamo bene in virtù della conoscenza oramai radicata che abbiamo l’uno dell’altro, e l’abbiamo sempre dimostrato, anche in partite terminate con una sconfitta. Non ci facciamo mettere sotto, la prestazione è una costante e porta all’emersione delle nostre qualità. Siamo dei lavoratori, pensiamo a fare quanti più punti possibili. Non guardo la classifica, è troppo corta per stimolare qualsiasi tipo dei ragionamenti e può cambiare in un nonnulla. Non abbiamo fatto niente finora, continuiamo a lavorare e – alla fine – si vedrà”.
Concludiamo con una considerazione che raccorda le tue origini con il presente: vieni da un quartiere difficile di Napoli, città in cui è nato e risiede anche il sottoscritto. Negli ultimi messi brulicano le notizie di cronaca nera con protagonisti, purtroppo, tanti ragazzi giovani, spesso non ancora maggiorenni. Che ruolo può avere, secondo te, il calcio nel contrasto all’assenza di sogni che, probabilmente, nuoce e non poco a queste fragili vite?
“Sarò sincero: il calcio mi ha salvato la vita. Ho avuto anche io dei momenti dove stavo per prendere un’altra strada. Oggi guardo diversamente Napoli rispetto a quando ci vivevo: senza uscire fuori da quel contesto non si riesce a capire quale sia la vera vita. Vengo dai Quartieri Spagnoli, una zona non facile, ma certe cose ora sono fuori controllo, bisogna fare qualcosa per i giovani. Quando ero piccolo andavo a scuola, e al rientro cominciava un lunghissimo pomeriggio di calcio per strada prima di rientrare a casa. Oggi, purtroppo, vedo che nemmeno il summenzionato calcio, la cosa più bella del mondo, riesce a funzionare. Non c’è più, non si gioca, eppure potrebbe avere un effetto deterrente e rimuovere tanti problemi. Si pensa ad altro, purtroppo. Non è quella la vera vita, ma se non si esce da determinate dinamiche non si può comprendere ciò, o comunque è molto difficile. Quando leggo e ascolto certe notizie ci resto davvero male, perché non si fa qualcosa per loro? Nessuno per il sottoscritto ha alzato il telefono, è partito tutto da me, non ho ricevuto alcuna pacca sulla spalla, ho preso la borsa e a 16 anni sono andato via di casa, ed è in quel momento che ho capito cosa signichi vivere e porsi dagli obiettivi. La mia, dunque, è una storia di resilienza, ma i giovani di Napoli vanno supporti e, ahimè, noto che nessuno sta facendo qualcosa per loro”.