Footbola
·24 luglio 2019
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·24 luglio 2019
Se Debrecen ama considerarsi un’entità a parte rispetto al resto d’Ungheria, e dunque suona bene quell’epiteto discostante di Roma calvinista per via della maggioranza protestante in un paese per gran parte cattolico, allora la storia di Gergely Rudolf è fatta di tasselli intercambiabili: la passione per l’arte trasmessa dalla moglie Sofia studentessa d’architettura, quel senso di tetro mistero che induce Genova alla prima passeggiata nei Caruggi, la scelta conseguente di risiedere nei pressi del campo d’allenamento a Pegli e una predisposizione particolare per l’apprendimento delle lingue, quattro. Così in breve tempo l’italiano dell’attaccante sorprese tutti, per pronuncia e lessico dopo soli quattro mesi di scuola, e Rudolf stesso si calò nella parte: ammise che la preparazione in Italia fosse leggermente più corposa di quella cui si sottopose in Francia negli otto anni a Nancy, raccontò di apprezzare pizza e pasta e di covare una grossa simpatia per la pallanuoto. All’epoca i suoi connazionali Benedek e Kasas giocavano in Liguria e lui li aveva raggiunti a parametro zero, nel modo ossia meno conveniente in assoluto per il Debrecen, con cui in carriera aveva giocato più gare (52) e segnato il maggior numero di reti (26). Di quel Debrecen era l’attaccante di punta: 24 anni, 16 reti nell’ultima stagione, il quarto campionato vinto in cinque anni e un ritorno dopo vari anni spesi in Francia.
Il Debrecen in tutto questo si sarebbe detto felice di lasciar partire il suo talento in direzione Genova, tutt’al più qualora il calciatore fosse rimasto anche in primavera. Così fu: Rudolf rinunciò agli ultimi mesi di stipendio per ringraziare il club, incurante di quanto sarebbe successo dopo. Un picco discendente senza fine, Bari e il Panathinaikos, il ritorno in Ungheria nel settembre 2012 e il ritiro nel luglio 2018 dopo aver vestito le maglie di Diósgyőr, Győr, Videoton, Nyíregyháza e Balmazujvaros. «È stato un grosso errore passare da Genova, il club a quel tempo aveva 103 calciatori. Alcuni in prestito, altri sedevano in panchina e sugli spalti, soli undici erano nella formazione iniziale. Però mi pento di non aver avuto pazienza» dirà Rudolf, che in rossoblù patì l’etichetta di capro espiatorio. Non andò bene neppur dopo: la bancarotta a Győr l’insoddisfazione a Fehérvár. Un peggioramento notevole per chi nel 2009 ricevette un’offerta semestrale dall’Ajax ma tentennò venendo anticipato da Luis Suárez e Marko Pantelić.
Proprio nel 2009 Rudolf vinse il premio József Bozsik e il Zilahi-díj. Al Debrecen aveva vinto due campionati (2008-09 e 09-10, concludendo secondo il 2007-08), due Magyar labdarúgókupa (nell’edizione 2009 fu il miglior giocatore) e altrettante Supercoppe. Tre reti alle qualificazioni di Coppa UEFA 2008-09, altrettanti tra qualificazioni e fase a gironi di Champions League 2009-10, tra cui due alla Fiorentina tra 20 ottobre e 4 novembre 2009, cui si qualificò come secondo club ungherese di sempre dopo l’exploit del Ferencváros nel 1995. Se quel Debrecen è probabilmente il migliore della storia, tra Rudolf, Róbert Feczesin e Zsolt Laczkó, anche Rudolf non seppe ripetersi tanto che si ritirò mestamente nell’estate 2018 rammentando di aver rifiutato offerte dall’Oriente perché non interessato ai soldi. Uscì di scena senza applausi né l’intenzione di proseguire la carriera nel calcio allenando. Il suo score recitava pure 28 presenze e 12 reti per la nazionale sparsi tra 2008 e 2014 ma pure un rapporto conflittuale con la stessa: «Per quanto riguarda il mio nome, penso che il gol segnato al 90′ contro la Svezia (venerdì 2 settembre 2011 al Ferenc Puskás Stadion di Budapest, nelle qualificazioni a Euro 2012, ndr) sia quello lasciato meglio nella mente delle persone».
Per i tifosi del Torino l’appuntamento sarà invece stasera alle 21 ad Alessandria, con l’andata del secondo turno di qualificazione all’Europa League che vedrà i granata opposti al Debrecen, ma in realtà il conto in sospeso del club ungherese col calcio italiano è antecedente. Detto di alcuni volti noti (il 33enne portiere Tomáš Košický, passato per Catania e Novara, e il 34enne Dániel Tőzsér, centrocampista predicatore dell’arrampicata di gruppo come rafforzante della fiducia reciproca tra compagni: il Genoa lo acquistò nel febbraio 2012 dal Genk salvo girarlo al Parma nell’estate 2014 in cambio del cartellino di Rosi), la formazione allenata da András Herczeg non è più quella di un tempo ma resta un colosso del suo campionato. Con sette affermazioni in patria è il massimo club magiaro del nuovo secolo e vanta una storia più che mai travagliata: attivo dal 12 marzo 1902 come Egyetértés Futball Club ma immediatamente distintosi in qualità di Debreceni Vasutas (“Vasutas” in ungherese significa ferroviere), il legame coi binari è confermato dal fatto che nel 1949 per un periodo la denominazione divenne Debreceni Lokomotiv. Per provare a rimettersi in carreggiata oggi, tentando l’impresa contro il Torino, non ci sarà ad ogni modo Gergely Rudolf.