MondoPrimavera
·17 maggio 2019
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·17 maggio 2019
La famiglia Consol raddoppia, e dopo Jean Claude si prepara a veder volare negli Stati Uniti anche Patrick, per ricongiungere negli Usa una coppia di giovani portieri che sogna di costruire un futuro da grandi, dentro e fuori dal campo. Nativi di Aosta, i due fratelli si ritroveranno negli States dopo aver seguito percorsi diversi per le loro giovani carriere. Jean Claude, classe ’96, è cresciuto nel vivaio del Genoa prima di passare alla Primavera del Carpi, per poi collezionare una serie di esperienze a livello di prima squadra nel campionato di Serie D. Virtus Castelfranco, Ciserano, Triestina e Argentina, prima del salto in America avvenuto grazie a YesWeCollege, che gli ha permesso di vestire la maglia di Newman University (nello stato del Kansas) nell’ultima stagione. Patrick, due anni più giovane, può invece vantare una trafila di prestigio nel vivaio della Juventus, che lo ha lanciato verso i prestiti con Varese, Correggese e Casale. Anche Patrick ha colto al volo la chance messagli a disposizione da YesWeCollege, e il prossimo agosto attraverserà l’Oceano per cominciare la sua avventura da studente-atleta a Oral Roberts University, ateneo dell’Oklahoma che compete nel massimo campionato universitario a stelle e strisce.
Con Jean Claude e Patrick ci siamo divertiti in una intervista doppia, nella quale i due fratelli Consol ci hanno raccontato i loro trascorsi e alcuni aneddoti divertenti, dando anche qualche dritta importante a chi come loro ha sempre sognato di diventare calciatore senza però trascurare l’impegno scolastico.
Nome. JC: Jean Claude Consol. P: Patrick Consol.
Età. JC: 22. P: 21
Ruolo. JC: portiere. P: portiere.
Qual è il tuo giocatore preferito? JC: Cristiano Ronaldo. P: Hugo Lloris.
Definisciti con tre aggettivi. JC: determinato, ambizioso, volenteroso. P: socievole, altruista, simpatico.
Un pregio e un difetto dell’altro. JC: altruista sicuramente, il difetto è che forse è un po’ troppo buono. P: un ragazzo serio, che però a volte è un po’ testardo.
Chi è più bravo a scuola? P: lui! JC: io, dai.
E invece in campo? JC: penso leggermente meglio lui. P: solo perché abbiamo detto che sei più bravo a scuola! JC: in realtà non lo sappiamo con certezza, perché non ci siamo allenati insieme né abbiamo mai giocato contro. Il nostro percorso è stato abbastanza simile perché entrambi siamo arrivati a giocare in Serie D ma sì, forse Patrick è un po’ più bravo.
Come avete scelto il vostro ruolo da portieri? JC: nostro padre giocava da portiere a livello amatoriale e ci ha trasmesso la vocazione per il ruolo. A me piaceva molto giocare mezzala, ma comunque fuori dalla porta, ma a 9 o 10 anni mi sono accorto di essere bravo tra i pali e che fare il portiere mi avrebbe permesso di fare più strada nel calcio. Alla fine, a 11 anni, ho fatto il passaggio definitivo in porta. Prima avevo raggiunto un compromesso col mister: giocavo la prima parte del match in porta, poi uscivo e cambiavo il completo e venivo schierato come giocatore di movimento. P: anche io da piccolo giocavo fuori ma mi sono accorto presto di essere pià bravo tra i pali. In più quando eravamo piccoli, nostro padre ci ha comprato dei guanti da portiere che abbiamo ancora adesso e da lì mi ha indirizzato verso il ruolo.
La più grande soddisfazione della carriera. JC: a livello individuale è arrivata in Primavera. Mi ero appena trasferito dal Genoa al Carpi, e una decina di giorni più tardi abbiamo giocato in trasferta proprio contro la mia ex squadra. Eravamo sotto 3-1, abbiamo accorciato a 3 minuti dalla fine e nel recupero mi sono spinto fino all’area avversaria per un calcio d’angolo e ho segnato il gol del pareggio. A livello di squadra invece la soddisfazione più bella è stata la vittoria nei playoff per la promozione in Serie C con la Triestina. P: i ricordi più belli sono legati all’anno in Primavera che ho fatto alla Juventus, giocando con tanti ragazzi fortissimi che adesso giocano ai massimi livelli del calcio italiano. Abbiamo vinto il Viareggio e giocato la finale di Coppa Italia e quella per lo scudetto, allenati da un campione del mondo come Fabio Grosso. Come soddisfazione personale invece ricordo con particolare piacere l’annata dei Giovanissimi: volevo iscrivermi a una scuola superiore con indirizzo agrario, la Pro Vercelli non era sicura di confermarmi e allora ho deciso di tornare a casa, ad Aosta, per frequentare la scuola che avevo scelto e giocare con il Valle d’Aosta, club che ai tempi militava in Serie C2. La squadra non era memorabile, ma mi ha permesso di fare un gran campionato e di mettermi in mostra, guadagnandomi la chance di fare alcuni provini coi quali sono riuscito ad arrivare alla Juventus.
Una parata che ricordi con particolare orgoglio? P: proprio con il Valle d’Aosta feci un grande intervento per respingere un calcio di punizione contro il Torino. È la prima parata che mi viene in mente, una delle più significative. JC: ce ne sono state un po’, non saprei individuarne una in particolare.
Un errore che ti è rimasto particolarmente addosso? JC: ne ho fatti tanti, come è normale per il nostro ruolo. Non ce n’è uno che me ne viene in mente in particolare, anche perché ho sempre cercato di cancellarli e di dimenticarli. P: nel nostro ruolo bisogna saper ripartire dopo ogni errore. Mi viene in mente la sensazione che si prova dopo averne commesso uno, ma la ricetta è sempre stata la stessa: stringere i guantoni e andare avanti.
Cosa fai nel tempo libero? JC: mi piace molto leggere, tenermi informato in generale su cosa succede nel mondo e in particolare sulle notizie di economia e finanza, sia italiane che internazionali. P: sono un appassionato di montagna. In inverno mi piace molto sciare, mentre d’estate adoro fare passeggiate e trekking con gli amici o con la mia ragazza.
Se potessi avere un superpotere, quale sceglieresti? JC: la capacità di svegliarmi ogni mattina dimenticando tutto, tanto le cose negative che quelle positive, ripartendo ogni giorno da zero. Trovo che quando si fa bene la natura umana ci porta a cullarci sugli allori, mentre quando le cose vanno male tendiamo a buttarci giù: dimenticando tutto invece potremmo vivere ogni giorno al meglio, senza lasciarci condizionare dagli avvenimenti della nostra vita. P: io vorrei poter riuscire ad aiutare gli altri, in qualunque modo possibile. È sempre stata una mia vocazione, e anche nel percorso di studi che ho scelto cercherò di seguire questo mio desiderio.
Cosa studiate all’università? JC: sto facendo un doppio major, in management e finanza. P: in Italia sto frequentando una università telematica per conciliare lo studio con gli impegni sportivi. Mi sono iscritto a scienze e tecnologie alimentari, ma adesso che andrò in America dovrò cambiare corso e sceglierò chimica biomedica.
Domanda per Jean Claude: com’è la vita nel campus universitario? La mia vita è abbastanza di routine. Abbiamo il nostro programma di lezioni settimanale, quindi in generale al mattino si seguono i corsi, poi dopo pranzo ci alleniamo nel pomeriggio dalle due alle cinque, sei giorni su sette. La cena viene servita molto presto, perché la mensa è aperta dalle cinque alle sei e mezza, e alla sera abbiamo del tempo libero che passo studiando, stando con gli amici o andando a fare un giro in città. La mia è una università piccola per gli standard americani, perché ci sono circa 1.500 studenti dei quali circa 400 che vivono nel campus, ma sono numeri che per chi non è abituato a vivere certe realtà sono comunque grandi. È bello vivere costantemente a contatto coi compagni di squadra, socializzando con gli altri ragazzi del college.
Avete un buon seguito nelle partite casalinghe? Essendo una piccola università non c’è tanta gente alle partite in casa, diciamo che il pubblico è composto per lo più dai ragazzi con cui fai più amicizia e magari da quelli delle altre squadre sportive, visto che ci sosteniamo a vicenda nelle rispettive competizioni. Abbiamo avuto un discreto pubblico quando abbiamo giocato in casa gli ottavi e i quarti di finale dei playoff, prima di perdere la semifinale in trasferta. I ritmi sono molto compressi, la stagione regolare dura praticamente due mesi e abbiamo anche tante trasferte lunghe, che nel nostro caso affrontiamo col nostro pullman con i letti sui quali riposare durante gli spostamenti.
Domanda per Patrick: quando partirai per gli Usa e cosa ti aspetti di trovare in questa tua nuova esperienza? Il 7 agosto comincerà la preparazione, quindi sono in contatto con i coach per sistemare tutti gli aspetti burocratici che precedono la partenza, oltre a dare gli ultimi esami per avere i crediti richiesti per iscrivermi all’università in America. Come mio fratello sono stato abituato a viaggiare e a stare lontano da casa, considerando che entrambi a 14 anni abbiamo cominciato a fare le nostre esperienze calcistiche che ci hanno portato a girare un po’ tutto a l’Italia del Nord. Mi piace poter arricchire il mio bagaglio con questa avventura all’estero. Da quello che mi dice Jean e da quello che ho sentito dire mi immagino un ambiente in cui si instaura una fratellanza di gruppo tra compagni di squadra e tra studenti in generale. Andro in una università cristiana, con l’aiutare il prossimo che sarà uno dei punti cardine dell’ateneo, e sono felice di poter finalmente far combaciare gli impegni scolastici con quelli sportivi, cosa che in Italia è molto difficile da realizzare.
Per tutti e due: dove ti vedi tra dieci anni? P: non riesco a immaginarmi come sarò, non ne ho davvero idea. JC: mi vedo negli Stati Uniti, a lavorare in una banca o comunque in un’azienda nel mondo dell’economia e della finanza.
Come hai scoperto YesWeCollege? P: facile, me ne ha parlato Jean! JC: sono venuto a conoscenza della possibilità di andare negli Usa da alcuni ragazzi che conosco e che hanno intrapreso questa strada. YesWeCollege, invece, l’ho scoperto grazie ai quattro anni nei quali ho vissuto a Genova, dove un amico in comune mi ha parlato del progetto lanciato da Nicolò e dagli altri ragazzi dell’organizzazione.
Fare un’esperienza all’estero era un obiettivo o è arrivata cogliendo l’occasione che vi si è presentata? JC: quando ero più piccolo e giocavo a Genova, come ogni ragazzo, pensavo soltanto a giocare a calcio e immaginavo una esperienza all’estero da fare però attraverso la mia carriera calcistica. Nel momento in cui ho cambiato il mio obiettivo, dalla carriera calcistica a quella accademica, ho modificato di conseguenza la mia prospettiva. Ma sicuramente dieci anni fa, o anche cinque, non mi sarei mai immaginato in un college americano. P: anche io non mi sarei mai aspettato una possibilità di questo genere. Negli anni in cui ero alla Juventus mi capitava di fantasticare vedendo alcuni ragazzi più grandi che avevano l’opportunità di fare un’esperienza all’estero, e anche io me la sarei immaginata dal lato prettamente calcistico. Una volta uscito dal settore giovanile, e trovandomi a giocare in Serie D, cambiano le priorità e l’aspetto accademico ha preso il sopravvento su quello sportivo.
Che consiglio daresti a un ragazzo che gioca in Primavera e sta vivendo gli ultimi momenti della sua esperienza in un settore giovanile? JC: se un ragazzo pensa veramente di avere la prospettiva per poter fare il calciatore giocando ad alti livelli, che sia Serie A, B o alta Serie C, allora gli direi di investire tutte le sue energie sul calcio. In caso contrario, e te ne accorgi anche da solo sebbene niente sia impossibile a quell’età, gli consiglierei di ragionare in prospettiva: non sull’oggi né sul domani, ma ancora più a lungo termine. Giocare in Serie D è divertente: inizi a vedere i primi tifosi e qualche giocatore importante. Ma se ti accorgi di non riuscire a fare il salto nel calcio ad alto livello devi essere bravo a chiederti come sarà la tua vita tra dieci anni. Tanti compagni di Patrick alla Juventus adesso sono in Serie A o B, ma per esempio della Primavera del Carpi dove giocavo io soltanto due sono riusciti a diventare professionisti. Ragionare in prospettiva quindi diventa fondamentale per fare le migliori scelte possibili per la propria vita. Un altro consiglio, a prescindere da tutto, è quello di studiare l’inglese: un’ora al giorno di pratica è un arricchimento personale per chiunque. P: non mollare mai la scuola e riuscire a prendere il diploma, cosa che bene o male è diventata abbastanza fattibile anche per chi ha già un contratto e ha più chance di fare il salto tra i professionisti. Io mi sono diplomato giocando, nell’anno della quinta superiore, tra Varese e Correggio: è la cosa di cui vado più fiero, ancora di più di aver giocato nella Primavera della Juventus, perché se non ci fossi riuscito adesso non potrei avere questa opportunità. Devo ringraziare i miei genitori e lo Juventus College, un esempio di quanto il club bianconero sia avanti anni luce rispetto al panorama italiano e che mi ha dato la possibilità di raggiungere il diploma scientifico.