🗣 Joao Pedro: «Spareggio mondiale? Mi chiedevo perché fossi lì» | OneFootball

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Vincenzo Visco·16 aprile 2025

🗣 Joao Pedro: «Spareggio mondiale? Mi chiedevo perché fossi lì»

Immagine dell'articolo:🗣 Joao Pedro: «Spareggio mondiale? Mi chiedevo perché fossi lì»

Joao Pedro, attaccante ora in forza all'Hull City ma in passato bandiera del Cagliari, ha rilasciato un’intervista a Cronache di Spogliatoio.

Tanti i temi toccati: i tanti anni passati in Sardegna, l'esperienza con la Nazionale Italiana e quel famoso spareggio Italia-Macedonia in cui era presente, e altri ancora.


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IL PESO DELL’AZZURRO

«Prima dello spareggio per andare al Mondiale contro la Macedonia, passavo il tempo a chiedermi: ‘Ma io merito di essere qui?’. Non sono stato bravo a gestire quel periodo: quello è il mio unico rammarico, oltre che per come sia andata poi la partita ovviamente. Io ho la cittadinanza dal 2017, ma non mi aspettavo di essere convocato. Ero a prendere il caffè con i magazzinieri del Cagliari, quando è arrivato il ds Capozucca: ‘L’Italia mi ha chiesto di te perché hanno saputo che hai il passaporto’. Non capivo: ‘Ma per cosa?’. E lui: ‘Convocarti’. Credevo scherzasse, così stavo per andarmene. Ma lui: ‘Fermati, sono serio’. Non era una cosa che mi passava per la testa. Certo, avevo già un legame forte con l’Italia: mia moglie e i miei figli sono italiani, ma sono stato colto di sorpresa. Il giorno dopo è arrivata la chiamata. Mi chiedevo: ‘Ma merito di esserci?’. Mi hanno trattato tutti benissimo, ma quel pensiero mi ha bloccato: non mi ha fatto essere al 100% lì con la testa».


ITALIA-MACEDONIA

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«Quando quella palla (il gol di Trajkovski) è entrata si è spento tutto. Nello spogliatoio nessuno si è arrabbiato, c’è stata solo una grande sensazione di vuoto. Non penso che avrei dovuto o potuto giocare di più. Sono entrato all’89’, ancora sullo 0-0: c’era molta tensione. Dopo quel gol… buio totale. Quando eravamo ancora a Coverciano ho pensato al fatto che si giocasse a Palermo, la città che mi ha accolto in Italia. Mi dicevo: ‘Non è possibile: mi convocano, giochiamo al Barbera. Manca solo la ciliegina sulla torta’. Pensavo di segnare: ho avuto anche una mezza occasione deviando un tiro. Ma niente. Quel gol avrebbe cambiato la nostra storia in quel momento e la mia carriera al 100%. Al fischio finale c’è stato di tutto: nessun litigio, solo tristezza. C’è chi ha passato tutta la sera con la testa abbassata, chi parlava di azioni di gioco, chi non ci credeva. Ma soprattutto c’era chi piangeva. Quella sera a Palermo si è pagato tutto ciò che era successo 4 anni prima: c’era la paura di rimanere fuori di nuovo».


L’ADDIO AL CAGLIARI DOPO LA RETROCESSIONE

«Venezia 0-0 Cagliari è la partita che vorrei rigiocare. Ricordo che tutta la settimana era stata pesante: c’era molta paura. Andavamo a Venezia per giocarci la vita o la morte. È difficile da spiegare quella sera… bastava un gol. Avrei voluto segnare la rete più brutta della storia in quel momento. All’intervallo ci avevano detto che la Salernitana era sotto 3-0 con l’Udinese, così ci siamo guardati: ‘Dai ragazzi, basta un gol. Non importa come o chi’. Non ce l’abbiamo fatta. La stagione è finita lì, ma la retrocessione non è iniziata quella sera a Venezia. Abbiamo sofferto per tutta la stagione. Il post è stato molto duro: se è mancato qualcosa, è stato soprattutto per colpa mia. Non sono stato capace di trascinare e guidare i miei compagni. A fine partita non mi hanno fatto parlare: non voglio che la gente pensi che io non abbia voluto metterci la faccia. Da quel momento, mi sono chiuso… sono umano anch’io. Ho dato veramente tutto quello che avevo a Cagliari: avrei preferito uscire da incapace a livello sportivo piuttosto che come uno che ha abbandonato la squadra in un momento di difficoltà perché non è assolutamente vero. Nessuno potrà mai rovinare il rapporto che abbiamo io e Cagliari. Il finale è stato forse uno dei peggiori possibili, ma da tifoso io direi: ‘Sono orgoglioso di avere avuto un calciatore del genere, così attaccato al mio Cagliari’. Sono stati 8 anni meravigliosi: sono arrivato ragazzino e me ne sono andato da uomo e padre di famiglia».


SQUALIFICA PER DOPING E RITORNO CON GOL AL MILAN

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«Nel 2018 sono stato squalificato per 6 mesi per aver assunto un integratore contaminato tramite il mio nutrizionista. Non volevo crederci. Ho avuto davvero paura di dover smettere. Lottavo dentro di me con la sensazione del ‘ca*zo, non ho fatto niente di sbagliato volontariamente, ma ora come ne esco?’. In quei mesi ho continuato ad allenarmi da solo con il mio preparatore: c’erano giorni in cui veniva ad alzarmi dal letto. Io non ce la facevo. Tutta Cagliari mi è stata vicina: dalle signore anziane ai bambini. Nessuno ha mai dubitato di me: quella è benzina naturale. Però è una cosa per cui la tua immagine rimane macchiata, poco importa che poi dimostri di non aver fatto nulla di sbagliato. La domenica prima del processo ho giocato 15 minuti a Firenze, nonostante dentro stessi morendo di paura. Da lì fino al mercoledì ho solo pianto, nient’altro. Poi sono arrivati i 6 mesi: fossero stati 4 anni, come chiesto dalla Procura, non sarebbe stato più fattibile giocare. Il 16 settembre per Cagliari-Milan torno a giocare: il gol dopo 3 minuti è stato il momento più bello della mia carriera. Era da quando ero piccolo che non sentivo lo stomaco sottosopra per una partita… e dopo 3 minuti: GOL! Una storia da cinema. Ho solo cercato di non sparare fuori il pallone. Quando la palla è entrata, mi sono bloccato: sembra una ca*ata, ma veramente mi è passato un film in testa: per 30 secondi mi sono spento completamente. Non ho neanche esultato. Lì ho capito di potermi riprendere la mia carriera. Quei mesi erano stati infernali: la testata non si fermava mai. Dormivo di m*rda, pochissimo e male. I momenti peggiori erano durante le partite dei miei compagni: mi mettevo a guardarli, ma poi mi alzavo e correvo in bagno a piangere. Non ce la facevo. In quei momenti non hai il controllo su niente».


LA SALVEZZA IN HOTEL

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«Nel 2021 abbiamo festeggiato la salvezza in hotel dopo il pari fra Benevento e Crotone. Noi la sera avremmo giocato a San Siro contro il Milan. A pranzo qualcuno aveva detto: ‘Ci guardiamo il match insieme?’. Io ho preferito andare a dormire: non ce la facevo. Non ho visto nulla della loro partita. Poi all’improvviso mi sono svegliato: c’era una confusione pazzesca nei corridoi dell’hotel. Aperta la porta, ho visto gente che urlava, correva, si lanciava cose. Poi sono venuti a prendermi: ‘Siamo salvi, siamo salvi!’. Ho chiuso la porta altrimenti camera mia sarebbe diventata un disastro. Avevo bisogno di respirare. Avevo i brividi: a gennaio ci davano per spacciati… e invece!».

BARELLA, PAVO E BORRIELLO, BONUCCI E CHIELLINI, E LO SCHERZO CON LE IENE

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«Barella è sempre stato scatenato. Era già evidente che avesse tantissima qualità, ma ciò che mi ha sempre stupito è stata la sua cattiveria: in ogni partita, per 90 minuti, lui comunque ci prova. Non è sfacciato, ma quasi… credo sia stato uno dei motivi principali per cui sia arrivato a questo livello. È una cosa che trovi in pochi. Anche in allenamento dovevi dirgli: ‘Nico, calma. Non c’è bisogno’. Lo invidiavo tantissimo: non serviva stimolarlo, lui era già così di suo. Era uno che provava di tutto: tiri da centrocampo, rovesciate col mancino. Robe che io non ho neanche mai tentato. A lui non fregava nulla di sbagliare: ci provava. Il compagno con cui ho imparato di più è stato Pavoletti: segnava di testa come un pazzo, in tutti i modi. Mi chiedevo: ‘Ma com’è possibile che segni così tanto di testa?’. Rendeva facili gol impossibili. Con Pavo abbiamo organizzato lo scherzo con Le Iene a Cragno. Non abbiamo mai avuto dubbi io e lui: dovevamo fare lo scherzo a lui. Eravamo sicuri che se la prendesse. Pavoletti è un attore pazzesco. Prima di iniziare la messa in scena, gli ho detto: ‘Vai tu avanti, mi fido’. Neanche riuscivo a parlare, mi veniva troppo da ridere. Lui invece era tranquillo. Ne abbiamo riso per giorni, per fortuna Cragno ha preso bene lo scherzo. Io avrei avuto una paura folle. Per settimane abbiamo continuato a prenderlo in giro… anzi, già lo facevamo: adesso avevamo solo un motivo in più!Un altro compagno con cui mi sono trovato molto bene in campo è stato Borriello. Fuori neanche ci guardavamo in faccia, ma dentro avevamo un’intesa incredibile. Giocare con lui era pazzesco. Gli davi qualsiasi pallone e lui lo metteva giù, lo teneva. Calciava di destro e sinistro, colpiva di testa: aveva una mentalità vincente.Io odiavo giocare contro Chiellini e Koulibaly: fisicamente erano dei mostri. Quello che mi infastidiva di più, però, era Bonucci: ti entrava in testa. Io da attaccante provavo qualcosa di diverso pur di sorprenderlo, ma lui invece era come se pensasse insieme a me. Tutto quello che cercavo di immaginare o fare diversamente, un numero, un movimento, lui lo anticipava. È la cosa più fastidiosa per una punta. Magari fisicamente riuscivi a trovare delle scorciatoie per evitare il contatto, ma quando poi vedi che anticipa i tuoi pensieri… lì il difensore ti uccide. Contro lui e Chiellini era sempre così».


IL BRASILE DI NEYMAR E ALISSON

«Neymar è stato il più forte con cui ho giocato: tutto talento naturale. Quando facevamo delle partitelle 7vs7 o a 10 ma a campo ridotto, con lui finivano 8-2… e lui facevo 6 gol in due tempi da 15 minuti. Era una cosa pazzesca. Solitamente sono partitelle che finiscono 3-1, 1-1 ma lui cambiava tutto. Quella Nazionale era davvero fortissima: c’erano Casemiro, Coutinho, Alisson. Avevamo vinto il Sudamericano U17 prima di andare al Mondiale. Eravamo consapevoli di essere uno squadrone e lì è stato questo a tradirci. Quando ce ne siamo resi conto, era troppo tardi: siamo usciti al girone, dopo appena 3 partite. Ma eravamo troppo belli da vedere. Anche in allenamento: numeri, giocate. Prendevamo palla e partivamo a correre, fra sombreri e dribbling. È una cosa che a livello mondiale poi paghi giustamente. Ma non ci interessava: volevamo divertirci. Pensa che io giocavo davanti alla difesa: c’era un difensore, io in mezzo al campo e poi tutti numeri 10. Era troppo divertente. Alisson era il portiere di quella Nazionale: è sempre stato così forte. Se tu lo guardi, è uno centrato, sereno: è rimasto identico al passato. È la stessa persona. È cresciuto fisicamente, ma è sempre stato così impostato e tranquillo. È una cosa che mi fa ridere… perché lo conosco da quando eravamo ragazzini e non è cambiato di una virgola».


IL PERIODO BUIO NEL PALERMO DI PASTORE

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«Credevo di arrivare in Italia e potermela giocare alla pari, ma non era così. Quel Palermo era davvero molto forte: c’erano Pastore, Miccoli, Maccarone, Iličić, Balzaretti, Bovo, Sirigu. Ero molto infastidito dal fatto di avere poche chances: mi allenavo bene, eppure non giocavo. Faceva parte del processo di crescita, poi col tempo l’ho capito. «Quando sono salito in prima squadra nell’Atlético Mineiro, ero convinto di poter diventare titolare. Mi sono bastate 3-4 partite per riuscirci. Il mio procuratore mi diceva: ‘Ma che dici? Non diventerai mai titolare fisso’. E invece. Per questo ero convinto di riuscirci anche a Palermo. La realtà è che ero distante anni luce da loro».


L’INFANZIA E IL FUTURO

«Da piccolo io non avevo niente. Ma veramente niente: andavo in giro a chiedere da mangiare. Solo il talento donatomi da mio padre che tornava a casa alle 5 da lavoro, si metteva le scarpe e usciva a giocare. Non avevo un piano B: sono andato via di casa a 13 anni per inseguire un sogno. E ce l’ho fatta. Serviva più testa che talento, ne ho visti tanti perdersi o non reggere la pressione. Per alcuni, magari, può sembrare che io non abbia fatto nulla di straordinario, ma per me, partendo dalla mia condizione, è come se avessi raggiunto l’apice del successo: non sono un fenomeno, ma per me essere oggi qui è come essere il miglior calciatore al mondo. Fisicamente sto vivendo il miglior periodo della mia carriera: non pensavo fosse possibile, soprattutto a 33 anni. Dopo due stagioni complicate, sono felici di aver ritrovato la serenità all’Hull City. Non riuscivo a riaccendere la fiamma, invece venire qui è stata la scelta giusta. Non c’è la pressione continua: sai di dover vincere, ma in settimana sei più tranquillo. Il futuro? A volte ci penso. Non voglio più avere a che fare con il calcio: ho dato tutto, anche quello che non avevo. Al massimo insegnare ai giovani: in vacanza a Palermo, sono andato alla scuola calcio di mio figlio e ho iniziato a dare alcuni consigli all’U16. Mi piacere vedere ragazzi che danno tutto pur di arrivare fra i professionisti. Ci penserò, ma al momento non lo so. Credo di non avere la forza mentale per il momento».


📸 2022 Getty Images