calvar.it
·22 ottobre 2024
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Non sappiamo con certezza se la bellezza salverà il mondo, come auspicava Fedor Dostoevskij sulle orme di Paolo di Tarso. Di sicuro, però, voltarsi dall’altra parte lo rende un posto più brutto e quindi peggiore. Per questo ci pare opportuno dare cassa di risonanza a una iniziativa che, al solito, è stata cannibalizzata dalle partite del fine settimana, ma che invece merita di restare sotto i riflettori.Al presidente della Fifa, Gianni Infantino, nei giorni scorsi è arrivata infatti una durissima lettera firmata da 106 calciatrici di primo piano di 24 nazionalità diverse, fra cui spicca anche il nome di Elena Linari, capitana della Nazionale. Lo scopo è quello di contrastare l’accordo stipulato fra la federazione internazionale e la compagnia petrolifera saudita Aramco, diventata partner Fifa. Il motivo è chiaro: rifiutare il denaro proveniente da uno Stato che non riconosce alla popolazione femminile gli stessi diritti degli uomini.“La sponsorizzazione è molto peggio di un autogol per il calcio – si legge -, tanto vale che la Fifa versi petrolio su campo e gli dia fuoco. Meritiamo molto di meglio dal nostro organo di governo rispetto alla sua alleanza con questo marchio da incubo”. Negli accordi, infatti, rientrano la sponsorizzazione del Mondiale maschile del 2026 e di quello femminile del 2027.Il tema centrale è reso esplicito senza esitazioni. “Vige un regime autocratico che viola in maniera sistematica i diritti delle donne e criminalizza la comunità Lgtbqi+”… Le autorità saudite hanno speso migliaia di milioni in patrocini sportivi per tentare di sviare l’attenzione dalla brutale reputazione del regime in materia di diritti umani, ma il trattamento delle donne parla da solo”. Per questo l’accordo viene definito: “Un dito medio alzato contro il calcio femminile”, mentre la Fifa viene etichettata come “la cheerleader di Riad”.Non è un mistero che il cosiddetto “sportwashing” negli ultimi anni stia aiutando alcuni governi del Medio Oriente a mettere sotto traccia la questione relativa ai diritti umani. Il problema era stato sollevata già al momento dell’assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar, che aveva affiancato l’ingresso della Formula Uno nel 2020 fino al recente approdo del tennis grazie al “Six Kings Slam” appena vinto da Sinner, per non parlare della Supercoppa Italiana ormai traslocata in Arabia Saudita.Da parte dello sport maschile, però, non abbiamo mai assistito a una presa di posizione così dura e incisiva rispetto a un tema identitario e nello stesso tempo universale. È solo una questione di scarsa sensibilità oppure davvero il denaro è in grado di mettere a tacere qualsiasi tipo di scrupolo?Come si vede, la questione non riguarda solo la Fifa, ma il calcio nel suo complesso e lo sport in generale. Si possono barattare i diritti con lo spettacolo? E se la protesta delle calciatrici ha un riscontro inevitabilmente limitato, perché gli uomini non si pongono anche loro il problema, magari per giungere persino a delle conclusioni differenti? E che ruolo potrebbero svolgere i media e gli appassionati di sport, se prendessero a cuore questo tipo di approccio a una realtà trascurata?Temiamo che le risposte non evaderanno dai soliti recinti del silenzio e dell’abitudine a dare per scontato tutto ciò che ci circonda, a meno che non tocchi i nostri interessi più stretti. Non vogliamo più salvare il mondo, neppure renderlo un posto migliore, ma soltanto divertirci e non pensare. Dimenticando come tutti noi siamo nati da donne che per fortuna adesso, oltre a saper giocare a calcio, sanno scrivere lettere da non dimenticare.