1925-2025, siamo entrati nel secolo del primo scudetto del Bologna: festeggiarlo un piacere, difendere la sua validità un dovere | OneFootball

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·09 de janeiro de 2025

1925-2025, siamo entrati nel secolo del primo scudetto del Bologna: festeggiarlo un piacere, difendere la sua validità un dovere

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Il 2025 sarà un anno incredibilmente importante per chi tifa Bologna. Cent’anni fa i rossoblù guidati da Hermann Felsner in panchina ed Enrico Masetti alla presidenza vincevano infatti il primo scudetto della loro storia, un anniversario che andrebbe preparato e celebrato con molta più dedizione rispetto alle tristi commemorazioni dell’ultimo tricolore (che peraltro portano fortuna a fasi alterne: nel sessantesimo è arrivata la qualificazione in Champions League, ma nel cinquantesimo la retrocessione in Serie B). Festeggiare il primo scudetto anziché l’ultimo segna una differenza fondamentale: il 1925 ci dice da quanto tempo il Bologna è una grande squadra, il 1964 da quanto non lo è più. Prepararsi, dunque. La festa vera e propria sarà in una data difficile da ricordare, il 23 agosto, ancora nel pieno delle vacanze estive. Quel giorno, infatti, il BFC campione di Lega Nord sconfisse per la seconda volta l’Alba Roma, vincitrice della Lega Sud, e si cucì sulle maglie il primo tricolore. Era la squadra del ‘Gatto magico” Mario Gianni, del lavandaio Felice Gasperi, del panettiere Bernardo Perin, dello sfortunatissimo Alberto Giordani (destinato a morire di meningite nel 1927), ma soprattutto di Angelo Schiavio, il più grande uomo di sport che Bologna abbia mai avuto. Lo scudetto numero 1 per noi equivale anche alla difesa di una verità storica che ancora oggi, a distanza di un secolo, qualcuno tenta di insidiare. A Genova, infatti, il Genoa è convinto che la finale di Lega Nord vinta dal Bologna al termine di cinque combattutissime partite sia stata strappata al Grifone per ragioni politiche riassumibili nella figura di Leandro Arpinati, il capo del fascismo bolognese. Nulla di più falso e surreale, come hanno già dimostrato i dettagliati lavori di ricostruzione storica di Carlo Felice Chiesa, Riccardo Brizzi e Carlo Caliceti. Pochi dubbi sul fatto che Leandro Arpinati (1892-1945) sia stato il politico più influente nell’orizzonte del BFC. Mai, prima e dopo di lui, il club emiliano ha più potuto contare su una figura locale di tale portata nelle sfere del potere italiano: animatore dello squadrismo felsineo, podestà della città dal 1926 al 1929, amico intimo di Benito Mussolini fin dai preparativi della rivoluzione fascista, sottosegretario agli Interni, editore e azionista del Resto del Carlino, ispiratore e organizzatore della raccolta fondi per la costruzione dello stadio Littoriale, deus ex machina della vita politica cittadina con ovvie ricadute sul piano nazionale, anche in veste di presidente del CONI. Queste furono senza dubbio alcune delle voci principali nel curriculum di Arpinati, il cui fiore all’occhiello resterà la realizzazione di uno stadio nuovo in appena 716 giorni, un record difficilmente battibile anche ai giorni nostri. Fu proprio il successo di questa gigantesca operazione urbanistico-sportiva a permettergli di giocare le carte decisive per diventare e restare, dal 1926 al 1933, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, avviando quelle ristrutturazioni che ancora adesso danno forma al calcio italiano come lo conosciamo (la formula del girone unico, istituita nel 1929, cadde in pieno sotto il suo mandato). Fu sempre Arpinati, romagnolo d’entroterra come Mussolini (nacquero a 21 chilometri di distanza), a ottenere l’organizzazione italiana dei Mondiali del 1934, l’ultima conquista personale prima del tracollo politico e della definitiva uscita di scena. Il 26 luglio 1934, due mesi dopo una denuncia segreta del suo rivale Achille Starace, Arpinati venne arrestato «per attività antifascista» assieme a venti suoi seguaci bolognesi e romagnoli, e mandato in isolamento nel carcere di San Giovanni in Monte a Bologna, prima di essere spedito al confino a Lipari, dove rimase solo per due dei cinque anni che gli erano stati comminati. Rientrò a Malacappa, nella bassa bolognese, e vi condusse vita ritirata nella sua fiorente azienda agricola, rifiutando persino un ruolo di primo piano nella Repubblica Sociale, incarico che – nonostante gli antichi screzi – gli era stato offerto da Mussolini in persona. Il 22 aprile 1945, sotto gli occhi della figlia, quando mancavano tre giorni dalla liberazione di Bologna, Arpinati fu freddato davanti a casa sua da un gruppo di partigiani impegnati in un regolamento di conti. Nella storia del Bologna FC la fama di Arpinati è legata soprattutto alla clamorosa decisione di non assegnare il titolo del campionato 1926/27, vinto sul campo dal Torino ma revocato per gli episodi di tentata corruzione passati agli annali come ‘Caso Allemandi’ (dal nome del calciatore della Juventus avvicinato da un dirigente granata). Pur sapendo bene che il regolamento avrebbe previsto la vittoria della seconda squadra classificata, ovvero il Bologna, in qualità di presidente della FIGC Arpinati decise che quel campionato non dovesse avere un vincitore. Lo fece per questioni di mera opportunità, essendo al centro di un evidente e non aggirabile conflitto d’interessi. Non è dunque sorprendente che anche i fatti relativi allo scudetto 1924/25 siano stati addebitati alla responsabilità, o perlomeno all’influenza, del potentissimo dirigente, che all’epoca però non ricopriva alcuna carica in Federazione e che, anzi, lottava ancora per la sopravvivenza politica nei quadri della gerarchia locale. All’indomani del delitto Matteotti, consumato nell’agosto 1924, Arpinati tentò infatti di farsi promotore di un’azione normalizzatrice del fascismo e di un progressivo isolamento degli estremisti, inimicandosi le frange più intransigenti, legate soprattutto alle province e agli ambienti sindacali fascisti. Come ha ricostruito Brunella Dalla Casa, tra le massime studiose del fascismo bolognese e in particolare della figura di Arpinati, nel febbraio del 1925 (in pieno campionato) il prefetto felsineo Arturo Bocchini inviò al ministro dell’Interno Luigi Federzoni una relazione in cui evidenziò la presenza di un «larvato dissenso tra la Federazione Provinciale dei Fasci, che rappresenta la provincia, appoggiata dai Sindacati, e la Segreteria Politica del Fascio di Bologna». La situazione era talmente precaria che lo stesso Mussolini, dopo essersi confrontato con Bocchini, convocò una riunione d’urgenza a Roma il 27 agosto 1925, appena 18 giorni dopo l’ultimo contestato spareggio milanese tra Genoa e Bologna, «per conferire sulla situazione del fascio bolognese». La direzione nazionale del Partito Nazionale Fascista approvò un documento di plauso all’operato del prefetto Bocchini, mentre al segretario Augusto Turati fu affidato il compito di recarsi a Bologna e reggere la Federazione come commissario straordinario, delegittimando così in pieno la figura di Arpinati, che sperava invece di uscire dalla riunione plenaria con ben altri risultati. La riconquista di un ruolo di primo piano effettivo nella sua città d’adozione ricominciò soltanto dall’autunno del 1925, ironia della sorte proprio con l’invio del prefetto Bocchini a Genova. Il 25 gennaio 1926, dopo avere ricevuto rassicurazioni a livello centrale, Arpinati si autoproclamò commissario straordinario reggente della Federazione Provinciale dei Fasci, primo passo verso tre operazioni eclatanti: la costruzione della Casa del Fascio, la scalata al Resto del Carlino e l’inaugurazione del Littoriale alla presenza dello stesso Mussolini. La cerimonia, datata 31 ottobre 1926, restò famosa soprattutto per i suoi sviluppi: nel far rientro in stazione, Mussolini andò vicinissimo alla morte per i colpi di pistola sparati dal quindicenne Anteo Zamboni, che mancò il bersaglio venendo poi immediatamente linciato dalle forze di sicurezza, tra le quali figurava anche il padre di Pier Paolo Pasolini. Nel dicembre dello stesso anno Arpinati diventò finalmente podestà della città, rafforzando così le proprie posizioni a livello politico nazionale e all’interno degli organi sportivi, con la nomina a presidente della Federazione Italiana Di Atletica Leggera (di cui era vicepresidente dall’anno precedente) e appunto della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Nel momento in cui si disputarono le finali di Lega Nord tra Genoa e Bologna, insomma, Arpinati era ancora lontano dall’avere consolidato il suo percorso di ascesa politica, sia all’interno della realtà petroniana sia in quella nazionale. Arpinati, al contrario di quanto vorrebbero ancora oggi far credere le fantasiose ricostruzioni genoane, si trovava in un momento di estrema precarietà. Al punto che, a fine agosto 1925, il quotidiano fascista bolognese L’Assalto evocò la possibilità di un complotto per «abbattere Arpinati e prendere controllo del fascismo bolognese». Difficile che in un momento di tale appannamento politico Arpinati abbia avuto la forza, il tempo e la volontà di assumere il ruolo di grande burattinaio nelle sorti di un campionato di cui, anche nella migliore delle ipotesi, non avrebbe potuto rivendicare alcun merito personale. Tanto più che due anni dopo, in un contesto in cui invece la sua carica di presidente della FIGC gli avrebbe consentito ben altre e più efficaci ingerenze, Arpinati si rifiutò testardamente di assegnare uno scudetto che il BFC, secondo classificato, avrebbe potuto reclamare di diritto. Resta, di Arpinati, il profilo di un fascista ‘anomalo’, come definito da molti storici, un personaggio connotato da una ferrea coerenza che lo portò a scontrarsi con l’amico di sempre Benito Mussolini, fino a cadere in disgrazia e a perdere in un colpo solo tutto l’enorme potere accumulato negli otto anni precedenti. Ma resta soprattutto uno scudetto rossoblù, quello del 1925, che nessuno può mettere in discussione. Ma di cui è bene cominciare a parlare, nell’anno che ci porterà a festeggiare il suo primo secolo.

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