Domenghini cuore nerazzurro: «Inter, col Psg è dura ma devi provarci, mi rivedo in quel nerazzurro» | OneFootball

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Inter News 24

·22 de maio de 2025

Domenghini cuore nerazzurro: «Inter, col Psg è dura ma devi provarci, mi rivedo in quel nerazzurro»

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La leggenda dell’Inter, Angelo Domenghini, ha voluto dire la sua in vista della finale di Champions League tra i nerazzurri e il PSG

A pochi giorni dalla finale di Champions League che vedrà l’Inter di Simone Inzaghi sfidare il Paris Saint-Germain (Monaco di Baviera, 31 maggio), La Gazzetta dello Sport ha incontrato una leggenda nerazzurra e del calcio italiano: Angelo Domenghini. Classe 1941, ala destra imprendibile, “Domingo” è stato un pilastro della Grande Inter di Helenio Herrera con cui ha vinto due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e tre Scudetti, oltre all’Europeo del 1968 e un secondo posto ai Mondiali del 1970 con la Nazionale. Dalla sua casa di Sesto Fiorentino, dove vive una vita serena e gioca ancora a tennis, Domenghini ha offerto la sua lucida e schietta analisi.

LA FINALE DI CHAMPIONS INTER-PSG – «Sarà una partita difficilissima per l’Inter, il Psg è uno squadrone, pieno di campioni. Non ci si può permettere di sbagliare niente, perché quelli ti puniscono al primo errore. Però l’Inter ha dimostrato di essere una squadra solida, con un grande allenatore e giocatori di qualità. Deve giocare con coraggio, senza timore, provando a imporre il proprio gioco quando possibile. Certo, servirà anche un pizzico di fortuna, che nelle finali non guasta mai».


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LAUTARO E THURAM – «Lautaro e Thuram possono fare la differenza lì davanti, ma sarà fondamentale il lavoro di tutta la squadra, soprattutto a centrocampo, per non lasciare troppo spazio ai loro palleggiatori».

NICOLÒ BARELLA, IL SUO EREDE? – «Barella mi piace tantissimo, è un giocatore straordinario. Ha corsa, tecnica, grinta, intelligenza tattica. È un centrocampista completo, moderno. Sì, per certi versi mi ci rivedo un po’, soprattutto per la generosità e la capacità di non mollare mai. Se potessi dargli un consiglio, gli direi di continuare così, di ascoltare sempre l’allenatore e di non accontentarsi mai. Può diventare ancora più forte. È lui il vero motore di questa Inter».

IL CALCIO DI OGGI RISPETTO AI SUOI TEMPI – «È un altro sport, non c’è paragone. Oggi i giocatori sono atleti incredibili, curati in ogni dettaglio, velocissimi. Ma forse si è persa un po’ di quella fantasia, di quella capacità di inventare la giocata che c’era ai miei tempi. Noi eravamo più “liberi” di creare, forse anche perché c’era meno tatticismo esasperato. E poi, diciamocelo, i campi di allora erano spesso disastrosi, oggi sono biliardi. Questo aiuta molto la tecnica».

COSA NON MI PIACE DEL CALCIO DI OGGI – «Una cosa che non mi piace del calcio di oggi sono le troppe interruzioni, il Var che spezzetta il gioco. E poi tutti questi passaggi laterali o all’indietro a centrocampo. Ai miei tempi si cercava subito la verticalizzazione, il passaggio per l’attaccante».

HELENIO HERRERA, IL “MAGO” – «Herrera era un grandissimo allenatore, un innovatore. Ti faceva lavorare tantissimo, ma sapeva tirare fuori il meglio da ognuno di noi. Era un martello, esigente, ma anche un grande motivatore. Aveva le sue frasi celebri, i suoi metodi, ma soprattutto aveva una mentalità vincente che ci ha trasmesso. Ci faceva sentire i più forti, e noi scendevamo in campo convinti di esserlo. La “partitella” del giovedì era una guerra, nessuno voleva perdere, e lui ci caricava a mille».

GLI ANNI ALLA GRANDE INTER E I COMPAGNI – «Eravamo un gruppo fantastico, una famiglia. C’erano campioni straordinari come Suarez, Mazzola, Facchetti, Corso, Jair, Burgnich, Picchi… ma prima di tutto eravamo uomini veri, legati da un grande rispetto e da un obiettivo comune. Le vittorie sono nate da quell’unione. Ricordo le trasferte, le cene, gli scherzi. Un periodo indimenticabile».

L’EUROPEO DEL ’68 E IL MONDIALE DEL ’70 – «Vincere l’Europeo in casa, a Roma, fu un’emozione pazzesca. Eravamo una bella squadra, con Valcareggi in panchina. Contro la Jugoslavia in finale fu durissima, servì la ripetizione. Il Mondiale del Messico nel ’70 è un ricordo agrodolce: arrivammo in finale contro un Brasile stellare, forse il più forte di tutti i tempi, con Pelé. Perdemmo, ma fu comunque un’avventura incredibile. Quella semifinale contro la Germania, il 4-3, è entrata nella storia del calcio».

IL RAPPORTO CON GIGI RIVA – «Gigi era un amico, oltre che un compagno di Nazionale. Un attaccante formidabile, una forza della natura. Quando eravamo insieme in azzurro, c’era grande intesa. Un uomo silenzioso, ma con un cuore grande. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto enorme».

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