Sampnews24
·03 de outubro de 2024
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Roberto Baronio, ex vice allenatore della Sampdoria, ha parlato del suo rapporto in blucerchiato con Andrea Pirlo. Ecco le sue dichiarazioni rilasciate ai microfoni di Cronache di Spogliatoio.
PIRLO – «Andrea Pirlo è cresciuto con me nel settore giovanile del Brescia. Aveva la numero 10 sulle spalle. Io ero un centrocampista, Andrea un trequartista, ma pur avendo le qualità tecniche gli mancava quel guizzo, quel dribbling che in quel ruolo si dovrebbe avere. Quindi dopo qualche anno alcuni suoi allenatori hanno avuto la grande idea di spostarlo un po’ più indietro e lì diciamo che è finita la mia epoca. No dai, scherzo. Avevamo qualità totalmente diverse, non posso assolutamente paragonarmi ad Andrea, che è diventato il miglior regista al mondo secondo me. È diventato un campione assoluto ed è stato giusto così».
CARRIERA PIRLO – «Sono contento per la carriera che ha fatto. Gli voglio un bene dell’anima: ci conosciamo da quando siamo bambini. Andrea è arrivato al Brescia a sette anni, io ne avevo nove. Lui, essendo più bravo di tutti noi, ha sempre giocato con quelli più grandi ed è per quello che ci siamo conosciuti e siamo cresciuti assieme. Siamo nati in due paesini in provincia di Brescia a una distanza di 15 chilometri. Ci siamo sempre frequentati grazie al calcio: siamo partiti dalle giovanili del Brescia e della Nazionale, poi siamo arrivati insieme in prima squadra. Il nostro rapporto è quello di due ragazzini che crescono insieme, sono migliori amici e si frequentano poi anche durante la vita».
CARRIERA PERSONALE – «Io invece ho fatto poco. Adesso sai, si diventa grandi. Si matura mentalmente e si capisce il perché sono successe determinate cose. Un giocatore con talento può diventare un campione oppure un semplice giocatore. Io posso reputarmi un calciatore normale, che ha fatto sicuramente una buona carriera, ma non a livelli importanti. È stata colpa mia. Un po’ di sfortuna c’è stata sì, ma in una percentuale piccola. Le mie qualità mi hanno permesso di fare quello che ho fatto. E quando parlo di qualità non parlo soltanto di qualità tecniche, ma parlo anche di quelle mentali, perché campione del mondo non lo è soltanto Pirlo, ma sono anche Perrotta e Gattuso, giocatori con caratteristiche tecniche totalmente opposte rispetto a quelle di Andrea, ma con qualità mentali enormi. Quindi io credo che il mix di cose fa sì che tu possa fare un certo tipo di carriera».
CAMPIONI – «Quello che ho fatto io era perché più di lì non sono stato in grado di arrivare. Ho giocato molto nell’Under 21 dell’Italia. Anche nell’Under 23 quando abbiamo vinto i Giochi del Mediterraneo. Ho condiviso lo spogliatoio con dei campioni incredibili come Totti, Buffon, Zambrotta, Gattuso, Ambrosini. Ho dei ricordi bellissimi di quel gruppo, con cui vincemmo anche l’Europeo in Repubblica Ceca. Alla Lazio invece ho vissuto gli anni migliori, in un gruppo pieno di campioni che hanno fatto la storia di questo sport, tipo Vieri, Salas, Mancini, Mihajlović, Verón, Casiraghi, Signori, Nesta. Non ho fatto una carriera come le loro. Oggi so perché».
RUOLI – «Ho allenato per molti anni i ragazzi delle giovanili, ho fatto anche due anni in Federazione con l’Under 18 e l’Under 19 dell’Italia. Ho avuto la fortuna di allenare tre anni dei ragazzi dilettanti e Under 17 di un club a Roma, il Futbol Club. Anche quella è stata un’esperienza che mi ha dato tanto e mi ha permesso di conoscere meglio il mondo dei giovani calciatori. Quando poi sono andato ad allenare la primavera del Brescia, del Napoli e le giovanili della Nazionale ho allenato Locatelli, Pinamonti, Cutrone… tutti i giocatori che in questo momento giocano in Serie A in Serie B».
EDUCAZIONE – «Io penso che l’allenatore, soprattutto delle giovanili fino ad arrivare alla Primavera, non soltanto con le categorie più piccole, debba essere innanzitutto un educatore. Io sono padre di due figli grandi, di 22 e di 16 anni, e quando mi sono trovato ad allenare i ragazzi della loro età ho voluto prima di tutto insegnargli l’educazione: come riuscire a stare in uno spogliatoio, le regole per arrivare in orario a un allenamento, come comportarsi con i compagni… e poi ovviamente la tecnica e la tattica. Ma nei settori giovanili secondo me la gestione viene un po’ prima rispetto al resto, perché quando questi ragazzi ti seguono poi riescono a darti anche qualcosa in più a livello tecnico, a livello aerobico, di corsa».
GENITORI – «Altra cosa: mi è sempre piaciuto, soprattutto quando allenavo la primavera del Brescia e del Napoli, conoscere anche i genitori di questi ragazzi per fargli capire chi era il loro allenatore, a chi affidavano i loro figli per quelle due ore durante il giorno quello che avrei insegnato loro, oltre che a giocare a calcio. Mi son sempre trovato bene. Tutte queste cose mi sono servite perché sono sempre riuscito a capire le emozioni che può provare quello che gioca titolare, ma posso anche capire le emozioni di quei ragazzi che magari non faccio giocare quasi mai, e quello che provano durante una settimana. Ho vissuto quei momenti e li so riconoscere».
RETROSCENA – «Questa cosa penso di non averla mai raccontata. Ho sempre pensato che se l’avessi fatto l’avrebbero presa come scusa per le panchine che facevo. Non era affatto così. Successe che Gaucci, che in quegli anni era il presidente del Perugia, non mi voleva. Io ero alla Lazio, andai al Perugia in prestito dopo una trattativa lunga: a lui non piacevo, ma piacevo all’allenatore dell’epoca, Serse Cosmi, che spinse tantissimo per il mio acquisto. Il primo mese e mezzo ebbi un virus alle vie urinarie che mi debilitò parecchio. Mi allenavo a tratti, ma Cosmi, siccome credeva tanto in me, mi faceva giocare lo stesso, nonostante non fossi al top. Il presidente cominciò a chiedere all’allenatore di lasciarmi fuori squadra e Cosmi mi chiamò nel suo spogliatoio, mi disse: ‘Guarda, il presidente non vuole che giochi, sappi che non ti potrò far entrare perché non vuole. Fino a gennaio sicuramente devi stare qua, però sappi che questa è la situazione. O io mi comporto in questa maniera o vengo esonerato’»
COLLOQUIO – «Chiesi un colloquio col presidente. Non me l’ha mai concesso. Non ho praticamente più giocato. E poi è arrivata questa storia del numero di maglia. Dopo tanto tempo che non giocavo, entrai in una partita in casa, mi sembra contro la Juventus. Eravamo sullo 0-0. Entrai all’88’. Dopo 3 minuti fece gol Camoranesi. Perdemmo la partita e il presidente, che era scaramantico, venne nello spogliatoio incolpando Serse Cosmi dicendo che era colpa mia, perché indossavo il numero 13. Addirittura arrivò a chiedere alla lega la possibilità di mettere una ‘x’ tra l’1 e il 3. Un po’ come fece Zamorano. Glielo concessero. L’annata andò così. Giocai pochissimo, fu molto duro. Quelle sono sliding doors. Senza quell’esperienza sarebbe potuta andare diversamente. A volte me lo chiedo. Un’altra sliding door fu quando fui vicino al Milan. Mi voleva Galliani dopo la stagione alla Reggina. Alla fine non si fece e tornai alla Lazio. Chi lo sa, se fossi andato al Milan, quello che sarebbe potuto succedere…».
PADEL – «Oggi mi diverto molto a giocare a Padel. I più forti tra gli ex calciatori? Candela sicuramente. Lo conosco molto bene e lo incrocio spesso a Roma nelle partite o nei vari tornei. Però ce ne sono tanti altri molto bravi. Ogni tanto ci troviamo: io non sono al livello di Candela, Thomas Locatelli, Luca Ceccarelli, Toni, Totti, Di Biagio, Fiore, Giannichedda. Loro sono sono veramente forti. Io devo migliorare. Devo giocare di più. Adesso ho un po’ più tempo e devo cercare di sfruttarlo per migliorare. Voglio poter giocare con loro nei tornei, perché poi alla fine sono divertenti. Anche il fatto di ritrovarci, di rivederci un po’ tutti assieme, fa sempre molto piacere».