Mateo Pellegrino, l’ultimo Tanque al Tardini | OneFootball

193 centimetri di imperiosa presenza nei cieli per 85 chilogrammi di esuberanza e sportellate. Codino da diverbio in un locale del sobborgo di Buenos Aires. Caratteristiche da pivot NBA anni ‘80. Soprannome di “Tanque” che viene quasi spontaneo. Tecnica: quanto basta. Numero 9 che gli amici de laragionedistato definirebbero “pantagruelico”. Mateo Pellegrino Casalanguida. L’attaccante che non meritavamo, ma di cui la martoriata categoria dei centravanti della tradizione, avviata verso un’inesorabile decadenza, aveva disperatamente bisogno.

In un mondo di attaccanti sempre più moderni, tra falsi nueve e punte mobili dalla tecnica raffinata, c’è un centravanti di peso che ha riportato in auge con prepotenza la tradizione del vero numero 9. Passaporto argentino, acconciatura che si allunga dietro la nuca: l’identikit del Tanque, arrivato dal Sud America per salvare, a suon di sponde spalle alla porta, una categoria ormai in declino.

La doppietta contro il Torino – siglata rigorosamente entro i confini dell’area piccola – avrebbe già dovuto farci aprire gli occhi. Ma non sono i freddi numeri a fare il 9. Sono la guerriglia fangosa, la lotta gomito a gomito con il centrale e la conquista dello spazio per i compagni. Tutto ciò che Mateo Pellegrino ha messo in campo contro l’Inter: il suo ingresso ha stravolto l’andamento della gara, permettendo al Parma di alzare il suo baricentro, lavorando il pallone del 2-2 e mettendo in seria difficoltà un centrale da riferimento come Acerbi.

L’errore nel finale per il possibile 3-2 è pesante. Ma è altrettanto pesante il suo impatto sul reparto offensivo dei crociati, aggrappati alle sue sponde statuarie e alla sua prestanza fisica. Mateo Pellegrino, l’ultimo dei centravanti vecchia scuola.