Inter, Ventola svela: «Arrivo all’Inter? C’erano tante squadre, avevo la scelta. I vari Moggi, Capello che era al Milan, mi parlavano e volevano ingaggiarmi…» | OneFootball

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·20 March 2025

Inter, Ventola svela: «Arrivo all’Inter? C’erano tante squadre, avevo la scelta. I vari Moggi, Capello che era al Milan, mi parlavano e volevano ingaggiarmi…»

Article image:Inter, Ventola svela: «Arrivo all’Inter? C’erano tante squadre, avevo la scelta. I vari Moggi, Capello che era al Milan, mi parlavano e volevano ingaggiarmi…»

L’ex giocatore dell’Inter, Nicola Ventola, ha parlato di alcuni episodi e retroscena legati ai suoi anni con la maglia nerazzurra. Le parole

L’ex giocatore dell’Inter Nicola Ventola è intervenuto ai microfoni di Radio TV Serie A e ha raccontato alcuni retroscena legati alla sua carriera e ai suoi anni vissuti con la maglia nerazzurra. A seguire le sue parole.

LE ORIGINI – «Sento la mia terra dentro, sento che ho dato poco perché ho giocato poco nel Bari, essendo arrivata l’Inter. Sento l’orgoglio dei miei concittadini di quando mi vedono parlare delle mie origini col cuore».


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IL MIO PRIMO GOL IN SERIE A? – «A Firenze, a Toldo che poi ho ritrovato all’Inter. Il primo da professionista è stato invece in un Torino-Bari del 26 settembre ’96 e mio figlio è nato proprio il 26 settembre. Capivo che c’era qualcosa di magico intorno a me, in un calcio con tanto talento, io avevo una forza fisica che vedevo in pochi centravanti. Non avevo ancora avuto infortuni. Se tu parli con chi mi ha visto dai 18 ai 22-23 anni tutti ti diranno che ero quasi immarcabile per progressione, velocità, un centravanti moderno e difficile da marcare».

LA SCELTA DI ANDARE ALL’INTER – «C’erano tante squadre, avevo la scelta. I vari Moggi, Capello che era al Milan, mi parlavano e volevano ingaggiarmi. C’era Francesco Totti che mi chiamava tutti i giorni perché avevamo fatto le giovanili insieme. Ero il giocatore perfetto per lui. Ma scelsi l’Inter perché l’anno prima avevano preso Ronaldo, che aveva come me Branchini come procuratore. Avevano preso Baggio. Sapevo che avrebbero preso Pirlo e sapevo che era un fenomeno. Vedevo nell’Inter la squadra del futuro. Non è stato così ma feci quella scelta. Un aneddoto: noi non consideravamo ancora tanto l’estero, un giorno squilla il telefono e dice che c’era Vialli. Pensavo fosse uno scherzo e invece era lui e mi corteggiò per andare al Chelsea. Fui onorato della chiamata, ma avevo scelto l’Inter».

GLI ANNI ALL’INTER – «L’Inter era un gruppo bello. Il primo anno è stato difficile perché da quasi vincere lo scudetto passammo nel ’98-’99 a non entrare nelle coppe, cambiando quattro allenatori. Ho legato tanto coi giovani, ma c’era uno spogliatoio incredibile. Ogni volta che vedo Baggio mi scuso con lui. Legai con Ronaldo, con Pirlo, ma ci furono alcune discussioni perché avevano ragione Simeone, Baggio, quelli più maturi. Quando sei giovane fai molti errori. Tornai poi all’annata quasi magica, dove non vincemmo lo scudetto. Eravamo un gruppo cementato, tanti italiani, non partivamo favoriti con Cuper. In tanti l’amicizia è rimasta, con qualcuno si è persa. Con Materazzi, Toldo, siamo ancora legati».

SU RONALDO E SU DALMAT – «Ronaldo è il più forte di tutti perché è stato il primo a far vedere tecnica e velocità all’ennesima potenza. Io dico sempre che dovrei vedere anche in allenamento Messi o Cristiano. Quello che ho visto fare, dichiarato, a Ronaldo… Era speciale. Del calcio di oggi ti dico Messi, della nuova generazione Mbappé. Però il calcio è anche magia, istinto. Cristiano è più macchina. Messi è quella magia inaspettata. Un talento che non è sbocciato? Dalmat anche in allenamento vedevi che era un fenomeno, ma il calcio è fatto anche di testa. Molte volte per fare lo step successivo devi avere anche la forza mentale di subire una pressione incredibile che ti danno le grandi squadre».

SUI PRESIDENTI DELL’INTER – «Moratti era incredibile. Troppo buono, troppo influenzabile, perché sentendo mille voci degli errori li ha fatti. Io ho fatto un anno di inattività con l’Inter, loro dopo sei mesi potevano cancellare il contratto. Mi è stato vicino, mi hanno pagato tutti gli interventi, la riabilitazione. E quando poi dovevo andare a giocare, mi ha lasciato andare a parametro zero. Thohir si avvicinò in quel periodo all’Inter e gli piaceva il cuore che ci mettevo. Specificò che era facile dire Ronaldo o Facchetti. Però mi ha fatto enorme piacere. A Los Angeles mi arrivarono un sacco di messaggi. L’ho incontrato e aveva una testa all’americana. Vedeva delle opportunità in me che vivevo negli Usa, avevamo parlato anche di business e di fare delle cose per l’Inter, anche se poi le cose non andarono in porto. Però lo vedevi che ci sapeva fare. L’Inter è rimasta nel cuore, ho un buon rapporto con la società. Se c’è da fare qualcosa con loro la faccio sempre e poi adesso è bella guardarla».

GLI ALLENATORI – «Fascetti è stato l’allenatore che mi ha insegnato di più. Magari tatticamente erano altri periodi, ma come uomo e professionista gli devo tanto. E anche Cuper mi è piaciuto tanto perché andava sulla meritocrazia, non guardava i nomi».

SUL RITIRO – «Mi sono ritirato a 32 anni dopo nove operazioni. Pensavo di smettere già quando avevo 24 anni e avevo problemi alla cartilagine. Chi mi aveva operato mi disse che non se la sentivano di operarmi perché c’era da fare un’operazione che era la prima volta al mondo. Branchini aveva anche Boksic che aveva problemi di cartilagine e io faccio un’artroscopia con il professor Steadman per far vedere com’era il ginocchio. Da Vail arriva a Montecarlo proprio Steadman e andiamo per fargli vedere il ginocchio. Il professore mi dice che c’era il 70% di possibilità di tornare. Rischiai, ma avevo tanta paura. Quando poi ho smesso è stato perché a 31 anni ho cominciato a vedere che la gente andava più forte di me e poi mi stavo rovinando il fegato a furia di antidolorifici».

FARE L’ALLENATORE? – «Nella mia testa sentivo già troppa pressione da calciatore ed è stato forse un mio limite. Immaginarmi a gestire un gruppo di calciatori, lo staff, mille robe. Non avevo la forza di pensarmi allenatore e tuttora la penso così»

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